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giovedì 11 ottobre 2012

TRATTATIVA STATO MAFIA


LA TRATTATIVA STATO MAFIA
La prima volta in cui emerge il rapporto tra mafia e politica è nel 1893 con l’uccisione del sindaco di Palermo e poi direttore generale del Banco di Sicilia Emanuele Notarbartolo. Successivamente, nel periodo fascista, Mori, prefetto di Trapani e poi di Palermo, fece arrestare molti mafiosi ma soprattutto scoprì che i grandi boss avevano grandi imprese e che la maggior parte erano iscritti al partito fascista; venne eletto senatore e quindi richiamato a Roma, perché stava mettendo alla luce verità scomode per il partito.
Salvo Lima fu sindaco di Palermo dal 1958 al 1963 e dal 1965 al 1968, fu inoltre sottosegretario durante il governo di Andreotti del 1974. Il pentito Tommaso Buscetta rilasciò nel settembre del 1992 alcune dichiarazioni secondo cui l'onorevole Lima aveva avuto rapporti (senza essere affiliato) con la famiglia mafiosa dei La Barbera. Il pentito Gaspare Mutolo ha poi enucleato il ruolo di mediatore ricoperto da Lima tra mafia e politica, riconoscendo responsabilità in capo all'onorevole Giulio Andreotti. Nella sentenza di primo grado del processo contro lo stesso Andreotti (pronunciata il 23 ottobre del 1999), la Corte dichiara che dagli elementi di prova acquisiti si desume che già prima di aderire alla corrente andreottiana, l'on. Lima aveva instaurato un rapporto di stabile collaborazione con "Cosa Nostra".
Probabilmente la trattativa fu gestita da Totò Riina e, dopo il suo arresto, da Bagarella, Brusca, i Graviano e Bernardo Provenzano.
Il 6 marzo 1992 Elio Ciolini, già condannato per calunnia, manda una lettera al giudice Leonardo Grassi preannunciando una nuova stagione di stragi (“Nel periodo marzo-luglio di quest’anno avverranno fatti intesi a destabilizzare l’ordine pubblico e come esplosioni dinamitarde intese a colpire quelle persone “comuni” in luoghi pubblici, sequestro ed eventuale “omicidio” di esponente politico Psi, Pci, Dc sequestro ed eventuale “omicidio” del futuro Presidente della Repubblica. Tutto questo è stato deciso a Zagabria (settembre ’91) nel quadro di un “riordinamento politico” della destra europea e in Italia è inteso ad un nuovo ordine “generale” con i relativi vantaggi economico finanziari (già in corso) dei responsabili di questo nuovo ordine deviato massonico politico culturale, attualmente basato sulla commercializzazione degli stupefacenti. La “storia” si ripete dopo quasi quindici anni ci sarà un ritorno alle strategie omicide per conseguire i loro intenti falliti. Ritornano come l’araba fenice.”)
Salvo Lima fu ucciso il 12 marzo 1992.
Un altro importante pentito è Leonardo Messina che alla Commissione Antimafia, il 4 dicembre 1992, dice: “Cosa Nostra sta rinnovando il sogno di diventare indipendente, di diventare padrona di un’ala dell’Italia, uno Stato loro, nostro. L’obbiettivo è quello di rendere indipendente la Sicilia rispetto al resto d’Italia e Cosa Nostra in ciò non è sola, è aiutata dalla massoneria. Molti degli uomini d’onore, cioè quelli che riescono a diventare dei capi, appartengono alla massoneria. E’ nella massoneria che si possono avere contatti totali con gli imprenditori, con le istituzioni, con gli uomini che amministrano il potere diverso di quello punitivo che ha Cosa nostra. Cosa Nostra non può più rimanere succube dello Stato, delle sue leggi, Cosa Nostra si vuole impadronire ed avere il suo Stato. Questo separatismo è in collegamento con forze non nazionali e nazionali che sono politiche, istituzionali ed imprenditrici; oggi Cosa Nostra può arrivare al potere senza fare un colpo di Stato, Cosa Nostra appoggerà una forza politica siciliana. Riina è uno dei capi di questa strategia tendente a separare la Sicilia dal resto d’Italia insieme ai corleonesi. Devono appoggiare nuovi partiti che tentano di separare la Sicilia dal resto d’Italia; questi gruppi finora hanno controllato lo Stato, adesso vogliono diventare Stato. Il tipo di separatismo non riguardava la Sicilia ma l’organizzazione, quindi le regioni dove c’è Cosa nostra (Sicilia, Campania, Calabria, Puglia). Ci sarà un compromesso con chi rappresenterà il nuovo Stato, se ce la faranno. Loro hanno interesse ad arrivare al potere con i propri uomini, che sono la loro espressione: non saranno più sudditi di nessuno. Loro devono raggiungere un fine: che sia la massoneria, che sia la Chiesa, che sia un’altra cosa, devono raggiungere l’obbiettivo. Qualsiasi sia la strada.” ( “Una delle tante volte in cui io mi ritrovai a conversare con il Miccichè, il Potente e il Monachino, il discorso cadde sull’ on. Bossi della Lega Nord, che poco tempo prima era andato a Catania. Io, che allora consideravo Bossi ‘un nemico della Sicilia’, dissi: «Perché un’altra volta che viene qua non lo ammazziamo?» Al che il Miccichè Borino esclamò: «Ma che, sei pazzo? Bossi è giusto». Il Miccichè spiegò quindi che la Lega Nord, e all’interno di essa non tanto Bossi, che era un ‘pupo’, quanto il senatore Miglio, era l’espressione di una parte della Democrazia cristiana e della Massoneria che faceva capo all’on. Andreotti e a Licio Gelli. Il Miccichè spiegò ancora che dopo la Lega del Nord sarebbe nata anche una Lega del Sud, in maniera tale da non apparire espressione di Cosa nostra, ma in effetti al servizio di Cosa nostra; e in questo modo, «noi saremmo divenuti Stato”.)
Le leghe meridionali - Nei primi giorni del maggio 1990 legati alla massoneria e alla destra eversiva, soprattutto Licio Gelli, appartenente alla P2, e Stefano Delle Chiaie, capo del gruppo neofascista Avanguardia Nazionale, cominciarono a fondare, una dopo l’altra, le più svariate organizzazioni leghiste (Lega Pugliese, Marchigiana, Molisana, Meridionale, degli Italiani e Sarda). Il 31 gennaio del ‘92 Pittella, già condannato per partecipazione a banda armata, e Viciconte fondano la Lega Italiana – Lega delle Leghe. Nel ’93 nascono a Massa Carrara il movimento politico Lega Italia e a Catania “Sicilia libera”. La DIA (Direzione Investigativa Antimafia) ha sottolineato i rapporti soprattutto della Lega Meridionale con personaggi legati agli ambienti eversivi della destra. A capo della segreteria provinciale della Lega Meridionale vi era Antonino Strano, un uomo politico “in obbligo” con l’associazione mafiosa, al quale i mafiosi catanesi potevano certamente “fare riferimento”. Il 6 aprile 1991 durante un convegno venne pubblicizzato un referendum abrogativo della legge Rognoni – La Torre, già formalizzato presso la Corte di Cassazione. Il 17 aprile 1991 Gelli comunica la sua dissociazione al movimento e il 7 maggio fonda la Lega Italiana con altri ex esponenti della Lega Meridionale come Serraino, legato alla criminalità pugliese, Pittella e Viciconte. Il collaboratore di Giustizia Massimo Pizza afferma che la Lega meridionale era la longa manus di Cosa Nostra e che doveva attuare un progetto di rivoluzione politica, ispirato da Licio Gelli, che sarebbe sfociato in una nuova forma di Stato; questo progetto di rivoluzione politica si articolava in tre fasi:
  • infiltrazione nelle istituzioni, in particolare nell’Arma dei carabinieri e nella Polizia;
  • delegittimazione della classe politica e della Magistratura;
  • fase militare: si sarebbe giunti a uno scontro con il Nord.
Il fallimento della Lega Meridionale era dovuto al voltafaccia di Gelli, al fatto che Andreotti, che aveva promesso di appoggiarla, si era poi tirato indietro.
Miglio, vero artefice del progetto politico della Lega Nord, dietro al quale c’erano Gelli e Andreotti diceva: (Io sono per il mantenimento anche della mafia e della 'ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos'è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto […] Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate.”). Gelli ebbe probabilmente un ruolo nella riorganizzazione dei rapporti tra mafia e massoneria voluta dai corleonesi con la costituzione di un’organizzazione massonica ancora più coperta nata per riciclare l’esperienza della P2, Terzo Oriente. Era inoltre legato alla criminalità organizzata napoletana e calabrese, alla Banda della Magliana, alla Sacra Corona Unita ed era in contatto con esponenti di spicco di Cosa Nostra.
Il collaboratore di Giustizia Filippo Malvagna afferma che esisteva una strategia di Cosa Nostra volta a colpire lo Stato sia in Sicilia che fuori dall’isola perché secondo Riina “la pressione dello Stato su Cosa Nostra si era fatta più rilevante e alcune tradizionali alleanze con i pezzi dello Stato non funzionavano più”. In pratica erano saltati i referenti politici di Cosa Nostra i quali avevano lasciato l’organizzazione senza le sue tradizionali coperture. Quindi Cosa Nostra voleva probabilmente fare pressione allo Stato per indurre gli apparati statali a trattare con la mafia e per allentare la pressione degli organi statali su Cosa Nostra e sulla Sicilia. Malvagna aggiunge che viene deciso che la strategia deve essere realizzata con il contributo di tutte le province e che si devono eseguire attentati e intimidazioni nei confronti di chi vuole opporsi seriamente a Cosa Nostra. Nel ’96, a quanto pare, la strategia dà i suoi frutti: si sono creati nuovi agganci con pezzi delle istituzioni e della politica.
Il collaboratore Maurizio Avola conferma le dichiarazioni di Leonardo Messina: dice infatti che Riina intendeva attaccare lo Stato e voleva creare un nuovo partito politico nel quale inserire uomini di Cosa Nostra incensurati, che avrebbero così potuto curare direttamente gli interessi di Cosa Nostra. Però perché si affermasse questo nuovo partito era necessario che si instaurasse una situazione di “instabilità delle istituzioni statali e di reazione popolare contro lo Stato non in grado di assicurare l’ordine e la sicurezza pubblica” così che, attuata la strategia di tensione e terrore, “il popolo esasperato sarebbe stato propenso ad appoggiare gli uomini che sarebbero scesi tempestivamente in campo, sbandierando a parole programmi di rinnovamento e di rigore”.
Secondo Messina, inoltre, esistevano rapporti fra la Lega Nord e settori particolari della massoneria. Ciò è confermato da Umberto Bossi che, all’interno dell’indagine “Phoney Money”, racconta di una cena tra il capo della Polizia Parisi, un uomo della CIA, De Chiara, e un altro uomo vicino ai Servizi durante la quale il posto di ministro dell’Interno diventa oggetto di trattativa.
Antonino Galliano dichiarò di aver saputo dello svolgimento di una riunione nel ’91 cui parteciparono esponenti di Cosa Nostra, ministri in carica, grossi esponenti delle istituzioni dello Stato, giudici, prefetti, persone dell’economia il cui fine era aggiustare la sentenza del Maxi Processo e mettere in atto qualcosa che destabilizzasse lo Stato per staccare la Sicilia dal resto d’Italia.
Tullio Cannella parlò di un’altra riunione tenutasi a Lamezia Terme alla quale avevano partecipato Sicilia Libera e altri movimenti leghisti o separatisti meridionali e diversi esponenti della Lega Nord, uno dei quali aveva detto che gli interessi della Lega Nord e quelli dei movimenti del meridione coincidevano. Si doveva “dare all’esterno una sensazione dell’antagonismo fra la Lega Nord e i movimenti del Sud, ma in realtà si doveva agire di concerto per realizzare la divisione politica tra Nord e Sud.” Le stragi di Capaci e di via d’Amelio si inserivano in una strategia più complessa, che poi proseguì nel’93 con le stragi al Nord le quali erano finalizzate a distrarre l’attenzione del problema di Cosa Nostra in Sicilia, e a creare un clima propizio per intervenire in quel momento in tempi più brevi alla separazione dell’Italia fra Nord e Sud. Alcune famiglie ritenevano che oltre al progetto separatista bisognasse nell’immediato trovare una soluzione politica “che desse risposta alle esigenze più impellenti e immediate di Cosa Nostra, e cioè i processi, i magistrati, i pentiti e il carcere. Per questo profusero le loro energie per favorire e appoggiare l’affermarsi del nuovo partito politico Forza Italia.” La strategia separatista costituiva comunque il punto di arrivo e la soluzione finale ai problemi di Cosa Nostra e dei suoi alleati esterni. Va detto che vi era un’ampia convergenza tra i progetti del nuovo movimento politico capeggiato da Berlusconi e quelli dei movimenti separatisti, per esempio la tesi federalista sostenuta anche dalla Lega Nord di Bossi.

La strage di Capaci: E’ il 23 maggio 1992, pochi minuti prima delle 18,00 esplode una potentissima carica di esplosivo sull’autostrada tra Punta Raisi e Palermo nei pressi dell’uscita per Capaci provocando la morte del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani. Nell’aprile del 2000 la sentenza di appello condanna 29 persone all’ergastolo.
Tra i personaggi condannati c’è anche Pippo Calò, già in prigione per l’attentato terroristico al rapido 904 nell’84 che aveva provocato 16 morti e che “avrebbe dovuto avere la capacità di distogliere l’impegno della società civile dalla lotta alla criminalità organizzata in genere, e in particolare contro le organizzazioni legate alla mafia, di provocare effetti destabilizzanti sulla stessa struttura statale, di determinare un blocco della marcia intrapresa dal Paese sulla via della democrazia, di realizzare una concreta intimidazione nei confronti degli apparati statali, scoraggiando il loro impegno, in particolare nella lotta intrapresa contro la mafia.” Inoltre probabilmente se non fosse avvenuta la strage di Capaci Falcone sarebbe stato nominato Procuratore nazionale antimafia e Andreotti eletto alla Presidenza della Repubblica. Il pentito Brusca infatti sostiene che secondo Cosa nostra Andreotti li aveva traditi consentendo che il maxiprocesso venisse sottratto al dottor Carnevale. Nella stessa ottica di punizione per l’impegno tradito va collocato l’omicidio di Salvo Lima, vicino ad Andreotti. Quindi l’omicidio Lima, la strage di Capaci e quella di via d’Amelio sono molto probabilmente legate e dietro la matrice mafiosa ci fu anche “un disegno politico”, come afferma Vito Ciancimino.

La prima trattativa: Antonino Gioè, che aveva partecipato alla strage di Capaci, venne contattato da alcuni uomini dei servizi segreti. Il 19 marzo 1993 viene arrestato insieme a Gioacchino La Barbera; il 29 luglio viene trovato impiccato. Nella sua ultima lettera parla anche di Paolo Bellini, definendolo “un infiltrato”. Bellini, pluripregiudicato, estremista di destra, implicato nella strage di Bologna, legato ai Servizi segreti deviati e amico di Ciolini, conosce Gioè in carcere e gli chiede di occuparsi del recupero di alcuni quadri rubati alla Pinacoteca di Modena facendogli capire che se fosse riuscito a recuperare i dipinti gli sarebbe stato più facile ottenere l’affidamento al servizio sociale o la semilibertà. Nell’estate del 1992 Bellini conosce il maresciallo Roberto Tempesta, del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico dell’Arma dei Carabinieri; anch’egli è interessato ai quadri. Bellini gli dice che ha contatti in Sicilia e che sarebbe in grado di infiltrarsi nella mafia. In un secondo incontro Tempesta dà le fotografie dei quadri della Pinacoteca di Modena a Bellini che le porta a Gioè spiegandogli che lavora per conto di un gruppo di onorevoli della zona di Modena, interessati al recupero dei quadri per la vicinanza delle elezioni. Gioè gli dice che per i quadri non può fare nulla e che però sarebbe in grado di recuperare delle opere molto più importanti, in cambio, chiede l’ammissione in ospedali o gli arresti domiciliari causa malattia per alcuni detenuti di suo interesse. Bellini passa le fotografie delle opere e i nomi a Tempesta che gli fa però capire che l’ipotesi è molto difficile per la stesura dei nomi, per la situazione del momento. Gioè si mostra molto contrariato. Poco tempo dopo Gioè viene arrestato, e non si parla più di nulla. Durante gli incontri tra Bellini e Tempesta, Bellini chiede per sé soldi (200-300 milioni) e l’annullamento o il ritardo nell’esecuzione di una condanna a tre anni di reclusione che gli era stata inflitta ma Tempesta dice che non sarebbe statoin grado di gestire una trattativa del genere e cerca di convincerlo a parlare con altri personaggi. Tempesta fa un accertamento sulle fotografie ricevute e il 28-29 agosto 1992 si reca dal colonnello Mori, comandante del Ros dei Carabinieri, spiegandogli la situazione. Mori capisce che le persone indicate da Bellini rappresentano il Gotha della mafia e che una trattativa intorno ad essi è impraticabile. Bellini e Tempesta si sentono comunque svariate altre volte, anche quando il primo viene arrestato. Tra Gioè e Bellini si parla di un possibile attentato alla Torre di Pisa, cosa che avrebbe provocato un grandissimi calo nel turismo a Pisa e in tutta Italia e un conseguente danneggiamento all’economia. Quindi la prima trattativa è basata sullo scambio tra opere d’arte e benefici per i detenuti. Bellini informa della trattativa Riina, è lui infatti che gli fa avere le fotografie di altri quadri disponibili ed è lui che in cambio vuole gli arresti domiciliari di Giovanni Battista Pullarà, Giuseppe Giacomo Gambino, Bernardo Brusca, Luciano Leggio e Pippo Calò (solo gli ultimi due nomi sono sicuri, gli altri tre variano da testimone a testimone). In pratica dall’interesse dello Stato a recuperare opere d’arte si passa a quello di non perdere le opere possedute; dalla possibilità di ottenere benefici facendo recuperare un’opera si passa a quella di ottenere una contropartita minacciando la distruzione di altre.
La seconda trattativa (Mori – Ciancimino): nel 1992 il generale Mori è a capo del reparto Criminalità Organizzata del Ros, vuole ricercare fonti, spunti, notizie che possano portare gli investigatori all’interno della struttura mafiosa così incontra, tramite il suo dipendente De Donno, Massimo Ciancimino nell’agosto del ’92. Lo scopo di questi incontri era quello di avere da Ciancimino qualche spunto di tipo investigativo che portasse alla cattura di latitanti o, comunque, alla migliore comprensione del fenomeno mafioso. In uno di questi incontri Ciancimino dice: “Io vi potrei essere utile perché inserito nel mondo di Tangentopoli, sarei una mina vagante che vi potrebbe completamente illustrare tutto il mondo e tutto quello che avviene”. Parlando di appalti Mori chiede a Ciancimino se si può parlare con Cosa Nostra, lui gli risponde che si potrebbe provare. Così Ciancimino prende contatto: loro accettano la trattativa, a patto che l’intermediario sia Ciancimino e che si svolga all’estero, Mori in cambio propone che “i vari Riina, Provenzano e soci si costituiscano, lo Stato tratterà bene loro e le loro famiglie”. Ciancimino si arrabbia ma, probabilmente pressato dalla sua situazione giudiziaria, si fa risentire ai primi di novembre: De Donno e Vito Ciancimino si incontrano e mettono le cose in chiaro: lo Stato vuole catturare Salvatore Riina, Ciancimino si mostra disposto ad aiutarli ma alla fine di dicembre viene arrestato, poco prima di Riina. Agli inizi di gennaio Ciancimino dice a Mori che gli vuole parlare: Ciancimino si mostra aperto alla formale collaborazione con lo Stato. Spiega che l’intermediario tra lui e i vertici di Cosa Nostra è stato il medico personale di Riina, tale Cinà. Brusca dice che dietro Mori e De Donno “millantavano amicizie politiche”. Secondo Brusca, Ciancimino ha aiutato gli investigatori a catturare Riina probabilmente con il consenso di Provenzano, per attenuare la dura reazione dello Stato dopo le stragi e consentire così la sopravvivenza di una parte di Cosa Nostra meno compromessa nelle indagini. Lo scopo dichiarato del contatto era avviare una trattativa per porre fine alle stragi.
Paolo Borsellino e la strage di via D’Amelio: il 21 maggio 1992 Borsellino rilascia un’intervista a due giornalisti francesi nella quale parla di Mangano e di alcune indagini in corso che coinvolgono Berlusconi. Mangano era stato indicato da alcuni pentiti come uomo d’onore appartenente a Cosa Nostra della famiglia di Pippo Calò, era stato arrestato per traffico di droga tra Palermo e Milano, dove andava spesso: secondo Borsellino Mangano era un ponte dell’organizzazione mafiosa nel Nord Italia. I giornalisti chiedono anche dei rapporti tra Mangano, Berlusconi e Dell’Utri, Borsellino non rilascia però dichiarazioni sull’argomento. Il giudice dice che “agli inizi degli anni ’70 Cosa Nostra cominciò a diventare un’impresa, cioè attraverso l’inserimento sempre più notevole nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali dei quali cercò lo sbocco perché venivano in parte esportati o depositati all’estero. Così si spiega la vicinanza tra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali. Per effettuare investimenti Cosa Nostra cominciò a seguire una via parallela e talvolta tangenziale all’industria operante anche nel Nord o a inserirsi in modo da poter utilizzare le capacità imprenditoriali al fine di far fruttificare i capitali di cui erano in possesso.” Secondo Borsellino di conseguenza era normale il fatto che “chi è titolare di grosse quantità di denaro cerca gli strumenti per potere questo denaro impiegare e che di conseguenza Cosa Nostra si sia trovata in contatto con questi ambienti industriali.” Mangano era inserito già da tempo in un’attività commerciale a Milano quindi “è chiaro che è anche una delle poche persone di Cosa Nostra in grado di gestire questi rapporti.” Borsellino, poco dopo la strage di Capaci, incontrò il capitan De Donno e il colonnello Mori, interessato al rapporto “Mafia Appalti” che il Ros aveva consegnato in Procura e dal quale emergeva il controllo di Cosa Nostra su quasi tutti gli appalti assegnati nella regione e legami tra Cosa Nostra e alcune società di costruzioni nazionali. Il pentito Giovanni Brusca riassume così: “Lima venne ucciso perché ci aveva abbandonati, Falcone perché era il nemico principale di Cosa Nostra e l’artefice del maxi processo, Borsellino fu probabilmente ucciso come conseguenza della trattativa. Una volta che Riina stava trattando con esponenti delle Istituzioni e voleva ottenere la revisione del maxi processo, il dott. Borsellino avrebbe certamente costituito un serio ostacolo lungo tale strada in quanto in caso di esito favorevole della trattativa si sarebbe opposto con tutte le sue forze ad una eventuale revisione della sentenza del maxi processo.” ( Paolo Borsellino muore per la trattativa che era stata avviata fra i boss corleonesi e pezzi delle istituzioni. Il magistrato, dopo la strage di Capaci ne era venuto a conoscenza e qualcuno gli aveva detto di starsene in silenzio, ma lui si era rifiutato. A Borsellino era stato proposto di non opporsi alla revisione del maxi processo e di chiudere un occhio su altre vicende. Il suo rifiuto ha portato venti giorni dopo a progettare ed eseguire l’attentato in via D’Amelio.”) Totò Riina aveva preparato un “papello” per interrompere la strategia stragista in cambio di vantaggi per i mafiosi.
Alle 16.58 del 19 luglio 1992 una violentissima esplosione in via Mariano D’Amelio a Palermo provoca la morte di Paolo Borsellino, Procuratore Aggiunto presso la Procura distrettuale della Repubblica di Palermo, e degli agenti di scorta Claudio Traina, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli e Eddie Walter Cosina. Sulla strage di via D’Amelio la ci sono state quattro indagini; il quarto troncone d’indagine, avviato dalla Procura di Caltanissetta, riguarda gli intrecci tra mafia, imprenditoria e uomini politici.
Il pentito Cancemi: nel ’90 o ’91 Riina disse a Cancemi di riferire a Vittorio Mangano che si doveva fare da parte, che Riina aveva nelle mani Dell’Utri e Berlusconi. Poco tempo dopo Riina gli disse che la Fininvest, di Berlusconi e Dell’Utri, era interessata a comprare tutta la zona vecchia di Palermo; da loro Cosa Nostra ricevette infatti 200 milioni, versati ogni sei mesi o un anno; il tramite era Gaetano Cinà. Riina voleva poi screditare i pentiti modificando Leggi e per farlo dovevano “star vicino a queste persone” (Dell’Utri e Berlusconi). Borsellino stava indagando su mafia e appalti, e a questo discorso Riina collegava anche Dell’Utri e Berlusconi. Cancemi racconta che Vittorio Mangano “faceva quello che voleva nella tenuta di Berlusconi ad Arcore. Là c’era un covo di mafiosi che organizzavano sequestri di persona, vendevano droga.”
Il pentito Cannella disse che la strage di via D’Amelio “venne eseguita per fare una cortesia ad altre persone quasi certamente estranee a Cosa Nostra”. Cosa Nostra si adoperò, per allentare certe pressioni, per far votare Forza Italia. Giovan Battista Ferrante racconta di un’alleanza che sarebbe stata stretta per attuare le stragi di Capaci e Via D’Amelio tra Cosa Nostra e la massoneria, della quale facevano parte anche “parecchi sbirri magistrati e anche avvocati, comandanti dei Carabinieri e componenti della Polizia, e che aveva collegamenti anche con i servizi segreti”. Il “papello” costituiva per Riina la base per una seria trattativa con lo Stato.
Il proiettile al giardino dei Boboli: l’idea di questa azione criminosa, avvenuta il 5 novembre 1992, nasce nel contesto dei colloqui tra Gioè e Bellini, quando parlavano di bombe nei monumenti; esso rappresentò il preludio in tono minore della campagna stragista. Fu collocato a Palazzo Pitti da Mazzei, Gullotta, Cannavò e Facella perché dopo le stragi di Borsellino e Falcone nella zona di Palermo c’era stata una repressione delle Forze dell’Ordine talmente forte che ai mafiosi “mancò il respiro”, quindi volevano che le forze dell’ordine si “calmassero” e che la popolazione si impaurisse. La bomba comunque non doveva esplodere, era solo un atto dimostrativo, ma i giornali non riportarono la notizia. Queste le dichiarazioni di Gullotta, Brusca invece sostiene che l’atto doveva servire a lanciare un messaggio allo Stato sul 41-bis, per creare allarmismo e far sì che si aprisse un canale di comunicazione tramite Bellini. Brusca inoltre fece sapere a Berlusconi che la bomba a mano agli Uffizi di Firenze l’aveva messa Cosa Nostra su suggerimento dei servizi segreti. Cosa Nostra a quanto pare nel ’94 voleva sfruttare il fatto che Berlusconi era diventato presidente del Consiglio, facendogli arrivare informazioni sugli attentati del 1993, perché facesse qualcosa per il 41-bis.
L’arresto di Bruno Contrada: Il questore Bruno Contrada, funzionario del Sisde (Servizio Italiano per le informazioni e la Sicurezza DEmocratica), viene arrestato il 24 dicembre 1992 per concorso in associazione mafiosa, era il capo della squadra mobile di Palermo dal 1973. Contrada è accusato da quattro pentiti di essere stato avvicinato da Cosa Nostra nel 1976 quando era funzionario della Procura di Palermo. Il pentito Rosario Spatola dichiara che “Contrada era una massone a disposizione di Cosa Nostra”. Altri scandali, denunciati dal segretario generale del Cesis (Comitato Esecutivo per i Servizi di Informazione e Sicurezza, fu un organo del servizio segreto italiano) Fulci, il quale presenta il sospetto che alcune persone del Sisde abbiano collaborato con la Falange Armata. Vengono trovati poi degli illeciti amministrativi, le indagini su ciò si intrecciano con inchieste sui fondi neri del Sisde e temporalmente con la campagna di bombe del ’92-’93. Il 24 giugno del ’93 viene arrestato l’ex amministratore del Sisde, il 27 luglio esplodono a Roma e a Milano 3 autobombe. L’inchiesta della procura permette di scoprire circa 60 miliardi di fondi neri. Più avanti un altro scandalo coinvolgerà il Sisde, per dei fondi neri elargiti dal servizio a un alto numero di persone, funzionari, politici che coinvolgono anche la carica di ministro degli Interni.
La tentata strage di Via Fauro: alle 21.35 in via Fauro a Roma, avviene una violentissima esplosione. Non rimane ucciso nessuno. Nella via stavano passando due macchine: una con il presentatore televisivo Maurizio Costanzo e la sua convivente Maria De Filippi, l’altra con le due guardie del corpo di Costanzo. Nel settembre 1991 Riina comunica la decisione di voler uccidere il giornalista Costanzo, nel ’92 ci fu un tentativo di omicidio che poi fallì. A quanto pare le trasmissioni di Costanzo davano molto fastidio a Cosa Nostra. Secondo alcuni pentiti l’attentato è fallito per sbaglio, secondo altri fu un attentato fatto fallire volontariamente per mandare un messaggio a un giornalista che si stava mobilitando troppo contro Cosa Nostra e che meditava di scendere in politica assieme a Michele Santoro. Un’altra interpretazione ancora è che l’attentato sia fallito per mandare un messaggio a chi nella Fininvest, come Costanzo appunto, si opponeva all’entrata in politica di Berlusconi; l’attentato non doveva quindi necessariamente uccidere ma doveva servire a sbloccare le resistenze di questo giornalista e di altre persone. Bagarella sembra che disse: “no, l’importante era farlo impaurire. Sai, non è il caso, perché essendo amico di amici di Canale 5, non era il caso di farlo morire.”
La strage di Via dei Georgofili: poco dopo l’una di notte, il 27 maggio 1993, una violentissima esplosione sconvolge il centro storico di Firenze. Nel crollo della Torre dei Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili muoiono i quattro membri della famiglia del custode e nel rogo di un edificio nella stessa via muore un’altra persona. Il 25% delle opere della Galleria degli Uffizi viene danneggiato. L’Accademia dei Georgofili era anche un luogo di ritrovo di uomini politici influenti, come ministri, ex ministri, e, soprattutto, l’allora presidente del Senato Spadolini. L’Accademia “contava tra i suoi aderenti un certo di membri autorevoli del Grande Oriente d’Italia, la più importante obbedienza massonica d’Italia. Quando era presidente del Consiglio nel ’92, Spadolini fu il primo a lanciare l’allarme su oscure manovre della P2 e non può non sorprendere che uno degli obbiettivi della campagna terroristica fosse, anche solo simbolicamente, così vicino al presidente del Consiglio.” Secondo Spadolini “non si può fissare un confine preciso tra terrorismo e P2, né tra mafia e P2”.
Una macchina piena di esplosivo vicino a Palazzo Chigi: è il 2 giugno 1993, festa della Repubblica. In Via dei Sabini, dietro la Banca Commerciale e vicino a Palazzo Chigi, viene segnalata ai Carabinieri un auto sospetta, una cinquecento blu. La bomba all’interno della macchina viene disinnescata. Secondo i Carabinieri “certamente non era un’azione dimostrativa, ma un attentato vero e proprio, con l’auto pronta ad esplodere appena il segnale fosse stato inviato”. Poche ore dopo un uomo, sostenendo di parlare per la Falange armata, chiama l’Ansa dicendo: “L’attentato delle 13 a Palazzo Chigi è fallito. Adesso colpiremo Questura e Comando Carabinieri”. Nella notte tra il 20 e il 21 settembre ’93, in un treno viene trovato un ordigno privo di detonatore, grazie a una segnalazione del Sisde. Il 16 ottobre viene arrestato il carabiniere a capo del centro Sisde di Genova Citanna, accusato da un suo informatore di aver organizzato il ritrovamento per attribuirsene il merito.
La strage di Via Palestro: sono circa le 23 del 27 luglio 1993 quando due vigili urbani di Milano trovano una vettura parcheggiata in Via Palestro dalla quale sta uscendo del fumo. I vigili chiamano immediatamente i pompieri. Dopo poco, l’auto esplode. Muoiono il vigile urbano Alessandro Ferrari e i vigili del fuoco Stefano Picerno, Sergio Pasotto e Carlo La Catena. Viene poi ritrovato agonizzante Driss Moussafir, che morirà durante il trasporto all’ospedale. L’esplosione raggiunge la condotta del gas sottostante alla sede stradale, che si incendia: per ore fiamme altissime si levano in cielo poi esplode anche una sacca di gas formatasi proprio sotto il PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea). Nello stesso giorno, nel giro di 50 minuti, sono esplose quindi due bombe a Roma e una a Milano. A quanto pare a Milano c’è stato un problema: la bomba è esplosa un’ora – un’ora e mezza prima, doveva scoppiare contemporaneamente a quelle di Roma e 150 metri più avanti. Scarano disse a Di Natale che le persone che gli stavano dando una mano erano persone per aiutare tutte le persone che erano nel carcere duro, queste persone si stavano interessando agli attentati. Le stragi sono state fatte in luoghi che non hanno un significato preciso, se non che sono genericamente intesi come “patrimonio artistico”. Secondo Pennino tra i mandanti delle stragi era coinvolta la massoneria e altri settori e circuiti istituzionali. Secondo il pentito Cancemi la lontananza delle stragi dalla Sicilia era mirata a qualche cosa, come se qualcuno avesse suggerito di colpire tali luoghi a Cosa Nostra.
La strage di Piazza S. Giovanni in Laterano: alle ore 0.03 il 28 luglio 1993 in Piazza San Giovanni in Laterano a Roma avviene un’esplosione: 7 persone rimangono ferite gravemente e opere artistiche vengono danneggiate. Il collaboratore di giustizia Tullio Cannella racconta che Bagarella aveva sottolineato chiaramente che “erano da ricercare in ambienti economico, politico, massonici, i veri mandanti ed ideatori della strage.” Quindi ci fu una concomitanza di interessi con Cosa Nostra di ambienti politicoaffaristici, quindi economici e massonici.
L’autobomba alla chiesa di San Giorgio al Velabro: poco dopo la mezzanotte del 27 luglio 1993, a Roma esplode un’altra bomba. La Chiesa del Velabro subisce gravissimi danni, ma per fortuna non ci sono morti; accanto alla chiesa c’è un istituto nel quale alloggiano sette religiosi dell’Ordine dei Padri Crocigeri. Nella Chiesa di San Giorgio in Velabro si riuniscono usualmente gli aderenti al Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, un ordine cavalleresco molto vicino alla chiesa cattolica e al quale aderiscono molti personaggi di ordine nobiliare ma anche persone che rivestono incarichi ufficiali.
“A questo gioco al massacro io non ci sto”: dopo le due esplosioni la linea telefonica di Palazzo Chigi va in tilt per due ore. La mattina successiva il prefetto Finocchiaro rassegna le sue dimissioni dalla Direzione del Sisde dichiarando: “Vorrei mettere subito in chiaro che, per quanto ci riguarda, la nostra analisi è arrivata subito dopo Via dei Georgofili quando ai piani altri tutti si accanivano sulla pista mafiosa. Roba da matti parlare di mafia quando è chiaro che la vecchia criminalità organizzata è fuorigioco da un pezzo, che sopra di loro si è inserito un disegno internazionale molto più ampio con giri di capitale inimmaginabili”. Il 28 ottobre successivo l’ex amministratore del Sisde comincia a raccontare ai magistrati i pagamenti in nero che il servizio segreto civile elargiva ai politici e ai funzionari delle istituzioni, dal ministro degli Interni in giù. Le voci dicono che nell’elenco sarebbe incluso anche il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, il quale fa un lungo discorso agli italiani, quasi fosse la risposta a una proposta ricevuta all’interno di un discorso complesso, di una vera e propria trattativa. (“Una constatazione. Prima si è tentato con le bombe ora con il più vergognoso e ignobile degli scandali. Occorre rimanere saldi e sereni. Penso che sia giunto il momento di fare un esame chiaro dell'attuale realtà italiana per trarne conclusioni forti ed efficaci. Il grande problema che dobbiamo tutti insieme - Capo dello stato, potere legislativo, esecutivo e giudiziario - affrontare e risolvere è quello di fare giustizia nei confronti di chi ha commesso fatti gravi contro la legge, e al tempo stesso di non recare danno alla vita dello Stato e alla sua immagine nel mondo. Nessuno può stare a guardare di fronte a questo tentativo di lenta distruzione dello Stato, pensando di esserne fuori. O siamo capaci di reagire, considerando reato il reato, ma difendendo a oltranza e gli innocenti e le nostre istituzioni repubblicane o condanniamo tutto il popolo e noi stessi ad assistere a questo attentato metodico, fatale alla vita e all'opera di ogni organo essenziale per la salvezza dello stato. A questo gioco al massacro io non ci sto.
Io sento il dovere di non starci, e di dare l'allarme. Non ci sto, non per difendere la mia persona, che può uscire di scena in ogni momento ma per tutelare con tutti gli organi dello Stato l'istituto costituzionale della presidenza della Repubblica. Il tempo che manca per le elezioni non può consumarsi nel cuocere a fuoco lento, con le persone che le rappresentano, le istituzioni dello Stato. Questa mia presa di posizione non ha alcuna recondita intenzione di allontanare le elezioni politiche. Il mio pensiero fu chiaramente espresso il 4 ottobre scorso a Bologna, ed è di assoluto, doveroso, sostanziale rispetto del risultato referendario che ha voluto una nuova legge elettorale perché sia attuata.
Tale volontà non muta e sono vane le pressioni che si manifestano da più parti con varia arroganza e con diversi anche opposti intendimenti. E troppe volte con forme rozze e volgari fino al punto da configurare reato. Per questo, pure nella asprezza disgustosa della sleale battaglia, mio dovere primario è di non darla vinta a chi lavora allo sfascio. Lo stato democratico innanzitutto. Dunque il mio no all'insinuante e insistente tentativo di una premeditata distruzione dello Stato è un no fermo e motivato. Per questo, nel momento in cui - e spero sia al più presto - potrò essere legittimamente a conoscenza delle accuse rivolte alla mia persona, nella serena coscienza di avere sempre e solo servito lo stato nell'assoluto rispetto delle legge reagirò con ogni mezzo legale contro chiunque abbia creduto di poter attentare alla mia onorabilità.
Diamoci una scrollata, per distinguere il male dalle malignità, dalle bassezze, dalle falsità, dalle trame di vario genere e misura. La patria è di tutti e ha bisogno di tutti. Ma ne devono rispondere soprattutto coloro che occupano le responsabilità le più vitali e costituzionalmente essenziali alla vita della Repubblica. Siamo a un passaggio difficile per l'Italia e per il popolo italiano. Non si affronta che con la responsabilità e il sacrificio, con l'amore per la patria. A questo siamo chiamati, a questo occorre rispondere".
)
La strage dello Stadio Olimpico: un’altra strage organizzata da Cosa Nostra è fallita, una strage della quale l’opinione pubblica è rimasta praticamente all’oscuro. Una autobomba sarebbe dovuta esplodere durante il derby Roma – Lazio all’inizio del 1994 accanto ad alcune corriere che trasportavano i Carabinieri per il servizio d’ordine pubblico. Se l’autobomba fosse esplosa avrebbe provocato più di duecento morti nell’Arma dei Carabinieri. Un problema tecnico fa in modo che la bomba non esploda.
Formello: Il 14 Aprile 1994 a Formello, una località nei pressi di Roma ,Cosa Nostra prepara un attentato al collaboratore di giustizia Salvatore Contorno. Questa volta non usano più un autobomba ma, per fare in modo che l’attentato non sia collegato a quelli di Roma, Milano e Firenze, un ordigno esplosivo. Nel primo tentativo l’ordigno non esplode, durante il secondo viene trovato dalla polizia. Questa fu l’ultima delle sette stragi messe in cantiere dalla mafia per l’estate 93-94. Quindi l’ultimo avviso stragista fu dato proprio ai “pentiti di mafia”.

Fabia Nardacchione e Eleonora Spurio, gruppo Graziella Campagna del Liceo Fermi


lunedì 27 febbraio 2012

mercoledì 14 dicembre 2011

DOSSIER "MAFIE INTERNAZIONALI"

La Yakuza 
(giapponese: hiragana やくざ, katakana ヤクザ), chiamata anche Gokudō (極道, Gokudō?) è un'organizzazione criminale giapponese suddivisa in numerose bande dette kumi o, nella terminologia legale, Bōryokudan (暴力団, "gruppo violento"?). I loro appartenenti a volte le definiscono ninkyō dantai (任侠団体, ninkyō dantai?), nome il cui significato è accostabile a quello di "onorata società". La stampa occidentale solitamente vi si riferisce con il termine generico di "mafia giapponese" per alcune caratteristiche comuni. Potentissima in patria, la Yakuza firma circa cinquecento omicidi l'anno per lotte intestine fra i capi mafia e controlla attività illecite come prostituzione, estorsione e gioco d’azzardo. È infiltrata nel mondo degli affari legali e delle istituzioni in molti paesi dell'Asia come Corea del Sud, Cina, Mongolia, Filippine e Indonesia e, sebbene la sua presenza in occidente risulta limitata a causa del basso numero di giapponesi ivi presenti, l'organizzazione agisce anche negli USA.
Caratteristiche
Il nome deriva da tre numeri, 8-9-3, che si traducono rispettivamente in Hachi, Kyuu e San (Ha-Kyuu-Sa,da cui deriva appunto Ya-Ku-Za), che costituivano il punteggio più basso di un gioco di carte nipponico, l'Oicho-Kabu (おいちょかぶ, Oicho-Kabu?). Da questo si può capire che uno degli originali campi d'azione della mafia giapponese fosse il settore del gioco. L'origine della Yakuza non è rintracciabile con precisione, ma deriva da varie organizzazioni legali o semi-legali dell'era feudale giapponese.
L'esistenza della gran parte dei gruppi Yakuza è nota al pubblico e molti dei loro membri non temono di rendersi pubblicamente identificabili, vestendo in modo appariscente ed esprimendosi a volte in un gergo peculiare. Difatti a causa del profondo radicamento nel territorio, dovuto in parte ai trascorsi del periodo feudale, e alla protezione spesso fornita da gruppi legali di estrema destra — uyoku (右翼, "destra"?) — la polizia giapponese ha grandi difficoltà nel combattere queste organizzazioni. Il più importante atto di legislazione antimafia in Giappone risale solo al 1995.
Un altro segno distintivo dei membri di questi gruppi sono i grandi tatuaggi che tutti gli affiliati si fanno eseguire ma usualmente nascondono. L'associazione tra tatuaggi e Yakuza in Giappone è tale che questa pratica è quasi completamente sconosciuta nel resto della popolazione; inoltre in tutte le palestre e piscine delle maggiori città giapponesi sono affissi cartelli che vietano l' ingresso a chi ha dei tatuaggi.
Le attività illegali delle quali si occupa la Yakuza sono speculazioni finanziarie e immobiliari, traffico di droga e armi, estorsioni, gioco d'azzardo (soprattutto il pachinko), sfruttamento della prostituzione, e infiltrazione nelle attività aziendali. Molti gruppi, anche recentemente, si sono spinti fino ad acquistare un piccolo numero di azioni di una grande corporazione per poter accedere alle riunioni del consiglio di amministrazione, dove gli inviati della banda commettevano atti di aperta intimidazione nei confronti dei soci a scopo di estorsione. Questi fatti non venivano quasi mai denunciati.
Storia 
Le origini della Yakuza, sebbene non chiare del tutto, sono da rintracciare nel XIX secolo, nel periodo Edo. Il Giappone, fino a quel momento logorato da incessanti guerre, riuscì a trovare una certa stabilità politico-sociale durante lo shogunato Tokugawa. Nonostante ciò, numerosi samurai, che fino a quel momento ebbero ruoli altisonanti, non riuscirono ad inserirsi nel sistema burocratico e, sentendosi ai margini della società, si riunirono in piccoli gruppi chiamati hatamotoyakko, dediti all'oppressione della popolazione, considerati da molti i progenitori della Yakuza. Ci sono anche teorie che propongono collegamenti coi ninja. Altri ritengono che i suoi antenati furono i machiyakko, bande di ronin al servizio della gente indifesa, ma anche loro coinvolti in attività illecite.
Nel XIX secolo, a queste organizzazioni successero nuovi gruppi di crimine organizzato, i tekiya e i bakuto. Questi riuscirono a reclutare nuove persone, approfittando della loro esclusione da parte del governo di quel periodo, prendendosene cura procurandogli una sistemazione decorosa. Con il passare degli anni, i tekiya e i bakuto divennero sempre più potenti e le loro attività si basarono perlopiù sul gioco d'azzardo e sull'estorsione. Il loro potere fu tale che il governo si servì del loro aiuto per poter opprimere le rivolte popolari, in cambio essi gestivano indisturbati i loro traffici.
Sul finire del Novecento, la Yakuza riuscì a radicarsi nelle alte cariche istituzionali giapponesi e, influenzata dalle ideologie di Mitsuru Toyama, acquisì uno spirito prettamente nazionalista. L'organizzazione si specializzò inoltre in atti intimidatori nei confronti degli avversari politici e nella stipulazione di patti con persone autorevoli del mondo economico, garantendosi così posti sempre più rispettati ed ingenti guadagni. L'organizzazione conobbe un periodo di crisi dopo la seconda guerra mondiale, quando il Giappone fu occupato dalle forze alleate guidate dagli Stati Uniti, ma riuscì a rimanere in attività e, persino, a guadagnarsi la stima della coalizione, approfittando delle divisioni interne allo SCAP.
La Yakuza ottenne il compito di mantenere l'ordine pubblico, in cambio di appalti nell'edilizia. Fu così che la mafia giapponese rinacque e divenne ancor più influente di prima: si infiltrò nel Partito Liberal Democratico, fornì guardie del corpo ai politici più importanti, appoggiò campagne elettorali portando voti con le minacce e intervenne spesso nel settore industriale. Davanti al sempre più crescente potere dell'organizzazione, lo SCAP adoperò misure drastiche, arrestando circa 50.000 persone, di cui solo una minima parte fu condannata. La sua vicinanza ai gruppi della destra neofascista e xenofoba viene confermata dalla protezione che fornì al terrorista nero latitante Delfo Zorzi.
Nel 1992, il governo giapponese, per poter ostacolare l'ascesa dell'organizzazione, emanò la legge anti-boryokudan, che dichiarò illegali tutte quelle associazioni che ricorrono a violenza e intimidazione. Inizialmente, il provvedimento sembrò dare buoni frutti, poiché più di mille membri furono arrestati e altre migliaia di loro uscirono dal giro per immettersi in attività a norma di legge. Ma con il tempo si rivelò inefficace, dato che i componenti dei clan scomparsi si unirono a quelli più potenti come Yamaguchi-gumi di Kobe e Sumiyoshi-rengo di Tokyo, accrescendo così la loro supremazia.
La Yakuza gode anche dell'appoggio di molti giapponesi che vedono in essa dei protettori su cui fare affidamento, nonostante numerose campagne di sensibilizzazione da parte del governo nipponico. Per questo i suoi adepti circolano tranquillamente con abiti prestigiosi a bordo di auto lussuose, mostrano con disinvoltura il loro biglietto da visita e si riuniscono in eleganti edifici ove è facilmente visibile il loro logo. A causa di ciò, le forze dell'ordine giapponesi trovano numerose difficoltà nel fermare l'organizzazione.

Cosa nostra americana
 è il nome con cui viene definita l'organizzazione criminale di stampo mafioso italo-americana, che nasce a inizio XX secolo e nel corso dei primi decenni inizia a strutturarsi e ad arricchirsi. Attualmente negli Stati Uniti è tra le organizzazioni criminali più potenti.
Le Cinque famiglie 
Sono 5 le famiglie che formano quest'organizzazione, che pur essendo indipendente da Cosa nostra siciliana mantiene con essa stretti rapporti di collaborazione:
  • Famiglia Bonanno:
Sono più o meno un centinaio i suoi affiliati.
Successione dei Boss:


Nicola Schiro'
1925 - 1930

Salvatore Maranzano
1930 - 1931

Joseph Bonanno
1931 - 1964

Gaspare Di Gregorio
1965 - 1968

Paul Anzalone
1968 - 1970

Natale Evola
1971 - 1973

Philip Rastelli
1973 - 1991

Joseph Massino
1991 - 2005

Vincent Basciano
2005 - 2006

Salvatore Montagna
2006 - Attualmente

  • Famiglia Colombo:
Tra i 50 e i 60 affiliati come la famiglia Lucchese.
Successione dei Boss:


Joseph Profaci
1928 - 1962

Joseph Magliocco
1962 - 1963

Michele Anzalone
1964 - 1971

Vincenzo Aloi
1971 - 1973

Carmine Persico
1973 - Attualmente

  • Famiglia Gambino:
Conta circa 200 membri.
Successione dei Boss:


Salvatore D'Aquila
1909 - 1928

Al Mineo
1928 - 1930

Frank Scalice
1930 - 1931

Vincent Mangano
1931 - 1951

Albert Anastasia
1951 - 1957

Carlo Gambino
1957 - 1976

Paul Castellano
1976 - 1985

John Gotti
1986 - 2002

Nicholas Corozzo
2002 - Attualmente

  • Famiglia Genovese:
300 circa sono i suoi affiliati.
Successione dei Boss:


Joe Masseria
1920 - 1931

Lucky Luciano
1931 - 1946

Frank Costello
1946 - 1957

Vito Genovese
1957 - 1969

Thomas Eboli
1969 - 1972

Frank Tieri
1972 - 1981

Vincent Gigante
1981 - 2005

Mario Gigante
2005 - 2006

Daniel Leo
2006 - 2007

Paul DiMarco
2007 - Attualmente

  • Famiglia Lucchese:
Conta 50-60 affiliati.
Successione dei Boss:


Gaetano Reina
1920 - 1930

Gaetano Gagliano
1931 - 1953

Gaetano Lucchese
1951 - 1967

Carmine Tramunti
1967 - 1973

Anthony Corallo
1973 - 1986

Vittorio Amuso
1987 - Attualmente

Le attività sono le più varie, dal traffico di droga, all'estorsione, dalla raccolta dei rifiuti, alla gestione degli appalti. Le 5 famiglie si dividono il mercato, anche se la fetta più grande di questo spetta ai Genovese e ai Gambino.
Le altre famiglie negli Stati Uniti 
Boss della famiglia di Buffalo

Joseph DiCarlo
1910 - 1922

Stefano Magaddino
1922 - 1974

Samuel Frangiamore
1974 - 1984

Joseph Todaro Sr.
1984 - 2006

Leonard Falzone
2006 - Attualmente?

Boss della famiglia De Cavalcante 

Gaspare D'Amico
1910 - 1937

Stefano Badami
1937 - 1955

Filippo Amari
1955 - 1957

Nick Delmore
1957 - 1964

Simone DeCavalcante
1964 - 1980

Giovanni Riggi
1980 - 2008

Francesco Guarraci
2008 - Attualmente

Boss della famiglia Patriarca 

Gaspare Messina
1916 - 1924

Philip Buccola
1924 - 1952

Raymond Patriarca Sr.
1952 - 1984

Raymond Patriarca Jr.
1984 - 1991

Nicholas Bianco
1991 - 1991

Frank Salemme
1957 - 2000

Luigi Manocchio
2000 - Attualmente

Boss della famiglia di Cleveland 

Joseph Lonardo
1919 - 1927

Joseph Porrello
1927 - 1930

Frank Milano
1930 - 1935

Giuseppe Romano
1935 - 1936

Alfred Polizzi
1936 - 1945

Johnny Scalish
1945 - 1976

James Licavoli
1976 - 1985

John Tronolone
1985 - 1991

Anthony Liberatore
1991 - 1993

Joseph Iacobacci
1993 - 2006
Storia 
Sono due i motivi della sua nascita:
  • L'immigrazione di un gran numero di italiani, principalmente dalle regioni meridionali (Sicilia, Calabria, Puglia e Campania) alla fine del XIX secolo;
  • L'emigrazione forzata di boss mafiosi dalla Sicilia dovuta alla dura repressione del prefetto Cesare Mori durante il periodo fascista. L'emigrazione era per molti mafiosi, una volta individuati, l'unica via di scampo per salvarsi dalla prigione.
I motivi della crescita e dello sviluppo di questa organizzazione sono vari:
  • Pessimo trattamento da parte delle autorità americane della popolazione italiana emigrante che si sentiva in tal modo spinta a ricercare altrove quell'assistenza sociale che lo stato statunitense non garantiva.
  • La politica del proibizionismo degli anni '20, con riferimento agli alcolici, che favorì le attività illecite mafiose legate al contrabbando.
  • Riconoscimento tardivo del problema mafioso da parte delle autorità americane, che intervennero in modo repressivo accanendosi sui pesci piccoli o sulla popolazione innocente.
I primi gruppi di mafiosi che operarono negli Stati Uniti si stabilirono nell'area di Chicago e New Orleans, iniziando con piccole operazioni di quartiere per poi passare al controllo di intere città. Dalle 5 famiglie originarie si arrivò ben presto a contare circa 26 famiglie su tutto il territorio nazionale, sempre mantenendo però New York (e di conseguenza le 5 famiglie ivi residenti) come centro di riferimento e di maggior potere politico ed economico dell'intero sistema mafioso.
Operazione Old Bridge 
Il 7 febbraio 2008 vengono arrestate 90 persone tra New York e la Sicilia, presunti appartenenti alle famiglie Inzerillo, Mannino, Di Maggio e Gambino, tra cui anche il boss Jackie D'Amico. La più grande retata dopo Pizza-Connection.
Maxiretata del 2011 
Il 20 gennaio 2011, circa 800 agenti appartenenti a FBI, polizia statale, federale e locale hanno eseguito 110 arresti in una maxioperazione antimafia, decapitando le Cinque famiglie di New York, in particolare i Colombo, e altre due famiglie minori (New Jersey, Rhode Island), per un totale di 127 persone incriminate. Tra gli arrestati, anche Walter Sempori, fermato a Siracusa il pomeriggio. Durante la conferenza stampa avvenuta il giorno stesso, il ministro della Giustizia Eric Holder l'ha definita «una delle maggiori operazioni realizzate in un unico giorno contro la Mafia nella storia dell'Fbi».
Struttura 
Ogni famiglia viene controllata da un Don, protetto e isolato dalle effettive operazioni mediante un sistema comprendente vari livelli di autorità. Secondo la tradizione, il consigliere più fidato del Don sarebbe il consigliere: in realtà il consigliere svolge principalmente funzioni di mediazione per le dispute interne alla famiglia. Si occupa inoltre della parte economica del business. Al di sotto del Don vi sono poi una serie di decine, i quali contano un numero variabile di uomini d'onore detti soldati, che portano concretamente a termine le operazioni. Ogni decina viene diretta da un capodecina, che deve rispondere direttamente al Don, o al vicecapo, o al consigliere. Quando il Boss prende una decisione, i suoi ordini non vengono direttamente trasmessi ai soldati ma vengono passati di livello in livello rispettando l'ordine gerarchico della catena di comando. In questo modo, i livelli più alti dell'organizzazione vengono effettivamente isolati e riescono ad evitare le possibili incriminazioni derivanti dalla cattura di un soldato.


Mafia cecena
La mafia cecena (denominata anche Obščina, Община, una parola russa che significa letteralmente "comunità") è una delle più grandi ed importanti forme di criminalità organizzatadell'ex-Unione Sovietica. Cosa esattamente collega il crimine organizzato ceceno ai movimenti politici di natura indipendentista, al fondamentalismo islamico e, in generale, ai conflitti odierni del Caucaso è ancora oggetto di dibattito.
Origini e storia
Secondo il documentario The Making of a New Empire ("La realizzazione di un nuovo impero") diretto da Jos de Putter, il gruppo criminale oggi alla base della mafia cecena nacque nel1974 dopo che uno studente ceceno della Università statale di Mosca di nome Chož-Ahmed Nouchaev fondò un movimento sovversivo, più tardi conosciuto come Obščina. Da molti ceceni questo gruppo fu relegato a movimento di liberazione, con Nouchaev che impersinificava la figura, persistente nella tradizione cecena, del bandito-guerriero. Dal 1987 i maggiori elementi di spicco del crimine ceceno si riunirono in una migliore e più efficiente organizzazione guidata da Noukhaev e da Nikolay Suleimanov, inglobando in se molte bande della zona di Mosca, il che permise ai boss ceceni di occupare posizioni dominanti al cospetto della stessa mafia russa.  Alcuni studi investigativi recenti hanno dimostrato che la sfera di influenza della mafia cecena si estende da Vladivostok a Vienna, con gli affiliati coinvolti nelle più svariate attività criminali, dalla ricettazione di automobili rubate, al riciclaggio di denaro sporco, dal traffico di clandestini a quello di droga, finanche al traffico illegale di sostanze radioattive quale il plutonio. A differenza delle organizzazioni criminali russe, Obščina è considerata una sorta di ibrido di entità criminali e politiche, che si serve di pratiche illegali per finanziare i combattenti separatisti ceceni. Questa caratteristica fa considerare il gruppo, da molte fonti, un'organizzazione terroristica più che una mera organizzazione di stampo mafioso. Ancora oggi non sono ancora del tutto chiari i campi di interesse e i fini ultimi della mafia cecena. Il gruppo dovrebbe essere guidato, ad oggi, da Nikolaj Suleimanov, che sta cercando di espandere i propri campi di interesse nell'Europa dell'est tramite il traffico di sigarette di contrabbando.
Il traffico di droga
La mafia cecena gioca un ruolo fondamentale nel traffico internazionale di droga per l'Asia centrale, la Russia e le regioni del Caucaso. Durante la prima guerra cecena gli stessi guerriglieri ceceni si finanziavano tramite estorsioni e contrabbando di petrolio. In ogni caso, durante la seconda guerra cecena i combattenti ricevettero enormi finanziamenti dai militanti giordani del Khattab, che si unirono alla guerriglia con il leader Shamil Basayev.
La mafia cecena sembra dominare il traffico di droga perfino nelle zone considerate sotto l'influenza della mafia russa. Durante un'intervista, un trafficante di droga tagico affermò che preferiva vendere le sue partite ai gruppi ceceni piuttosto che a quelli russi, in quanto i primi disponevano di una migliore rete di contatti tra le forze dell'ordine. L'influenza criminale della mafia cecena arriva fino a Murmansk, dove vennero a galla i rapporti tra un amministratore di rilievo locale e il boss Vascha Aschabov, che aveva messo in piedi un traffico di eroina su larga scala con base proprio a Murmansk.
Leggende o realtà?
Gli investigatori russi affermano che Obshina è la principale organizzazione criminale non russa operante nella Federazione. Molte persone della comunità cecena presente in Russia sono spesso ritratte come criminali dal governo russo e i media demonizzano i combattenti per l'indipendenza della Cecenia e legittimano gli interventi di polizia dei russi nelle regioni del Caucaso. Valerij Tiškov, direttore dell'istituto di etnologia ed antropologia dell'Accademia Russa delle Scienze disse:

«Grazie alla stampa non solo in Russia ma anche all'estero è stata creata un'immagine della mafia cecena che neutralizza il supporto morale al popolo ceceno che si è andato formando a livello internazionale dopo guerre degli ultimi anni. Se non fosse per questa immagine, il supporto internazionale ai ceceni sarebbe totale e molto più tangibile. Inoltre io non sono d'accordo con l'immagine che si è data della criminalità organizzata cecena come se fosse il cartello di Medellín. Questa immagine è un mito. Il livello del crimine organizzato presente all'interno della comunità cecena non è più alto di quello georgiano o di quello russo. Anzi, i ceceni hanno molto più successo nel mondo degli affari.»
Connessioni col fondamentalismo islamico
Il movimento indipendentista ceceno ha ricevuto sempre più consenso e supporto nel mondo islamico così come tra i combattenti del medio-oriente che spesso si arruolano volontari. Sin dall'attacco alle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001, l'amministrazione Putin ha cercato di collegare gli insorti ceceni ad al-Qāʿida e ai Talebani.
L'uso dei profitti del traffico di droga per finanziare il movimento separatista e i suoi collegamenti ai gruppi islamici sono stati suggeriti da varie agenzie di intelligence. La presenza della mafia cecena in Argentina è stata collegata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti dal sud America all'Europa e al traffico di armi. Nella cosiddetta "area tri-confine" traArgentina, Brasile e Paraguay - in cui è presente una considerevole comunità musulmana - gli investigatori argentini hanno trovato collegamenti diretti tra separatisti ceceni e terroristi islamici e sospettano che i ceceni facciano uso di questi contatti per approvvigionarsi di armi. Nell'altra parte del globo, per finanziare il loro movimento separatista, il leader islamicoShamil Basayev e i suoi seguaci hanno trasportato eroina dall'Afghanistan attraverso l'Abcasia fino al Mar Nero, per arrivare fino in Turchia e a Cipro e poi in Europa.
Nel 1998 fu data la notizia da Riyad 'Alam-al-Din di Nicosia e da un non meglio identificato corrispondente moscovita di Al-Watan al-'Arabi che Osama bin Laden aveva inviato una delegazione nella Repubblica Cecena composta da elementi della sua organizzazione e da capi talebani. L'incontro fu tenuto a Groznyj insieme ad alcuni membri della mafia cecena per discutere di traffici di armi nucleari. L'eventuale acquisizione di queste armi sarebbe costata a Bin Laden 30 milioni di dollari in contanti e la donazione, da parte dei talebani, di due tonnellate di eroina dall'Afghanistan. L'affare non riuscì. Queste notizie non sono mai state confermate da altre fonti.


Mafia albanese
Mafia albanese e crimine organizzato albanese sono i termini usati per designare varie organizzazioni criminali attive in Albania o composte da persone di etnia albanese.
Le loro attività, nei Paesi dell’Unione Europea e negli Stati Uniti, sono principalmente il traffico di droga, principalmente eroina, sfruttamento della prostituzione e traffico d’armi.
Il termine "mafia", tuttavia, è spesso usato in senso descrittivo e non implica un reale coordinamento delle attività criminali, né segue che queste siano regolate da un corpo governativo.
C’è da dire che la vera struttura e il funzionamento di queste organizzazioni sono poco studiate, data la difficoltà nel riuscire ad infiltrarsi. I membri del gruppo sono normalmente di un numero inferiore alle 20 unità, della stessa città, quartiere o addirittura famiglia, poste allo stesso livello morale ed economico, dei quali si distingue solo un capo con potersi esclusivamente di guida. La mafia albanese prende alcune norme morali dal famoso Kanun, il quale regola anche le vendette. Questi gruppi non tendono a collaborare, anzi, spesso si trovano in conflitto tra di loro. Una guerra interna ad un’organizzazione, data la ferocia della vendetta, comporta la fine stessa dell’organizzazione.
La criminalità organizzata in Albania prese il sopravvento all’inizio degli anni ‘90, quando il vecchio itinerario Turchia-Jugoslavia fu bloccato a causa dei conflitti etnici e turchi e bulgari vennero costretti a cambiare la rotta dei traffici verso l’Italia, usando l’Albania come ponte.
Ben presto i gruppi albanesi, poiché avevano perso molto tempo, iniziarono ad impostarsi sulle altre mafie balcaniche, conquistandone i punti cruciali e in un tempo breve ad avere tutto nelle loro mani, restando così con "le mani pulite" e quasi invisibili. Mentre dopo il 1997, con le varie riforme dell’Albania che mirava ad una stabilità politica, il Paese divenne solo un ponte, nel quale però non poteva impostarsi, data la difficoltà di creare rapporti di superiorità e inferiorità, che scatenava sempre guerre violente. Per questo, il futuro della mafia albanese era in Europa, mentre in Albania la distribuzione di droga, prostituzione e altro rimasero al mercato libero, controllate minimamente dalla mafia.
In Italia
In Italia gli albanesi arrivarono agli inizi degli anni '90. Svolgono attività di basso rango come corrieri, ma a volte sotto il controllo delle organizzazioni criminali italiane svolgono attività di prostituzione, spaccio di droga, rapine. Questo accade al Nord Italia, nel Sud Italia, dove le organizzazioni criminali endogene sono fortemente radicate, non hanno trovato spazio per avviare attività criminali in proprio. Collaborano spesso con la camorra e la 'ndrangheta, con quest'ultima soprattutto per la gestione della prostituzione. In una recente retata delle forze dell'ordine è risultato che la 'ndrangheta avrebbe dato il permesso agli albanesi di gestire la prostituzione in cambio di droga e armi. In Abruzzo gli albanesi svolgono il ruolo di "cavalli" per la camorra assieme ai rom locali per lo spaccio di droga, soprattutto cocaina. Gli albanesi arrivano in Abruzzo per spacciare la droga introdotta in Veneto e in Puglia.

Caratteristiche della mafia albanese
Peculiarità, uomini e attività della mafia albanese
La mafia albanese, nell’attuale configurazione, è recentissima ed ha preso corpo dopo il crollo del mondo comunista, da una decina d’anni. Ha una struttura simile alla camorra, orizzontale, carsica, puntiforme e non verticistica. E’ composta da elementi giovani, assolutamente spregiudicati e disposti a tutto, che stanno determinando una vorticosa capacità di crescita della loro organizzazione. Le istituzioni albanesi vivono una situazione di enorme fragilità, per cui la mafia albanese ha davvero gioco facile nell’implementare le proprie attività, che vanno dall’immigrazione clandestina allo sfruttamento dei minori, dal traffico di droga al riciclaggio di danaro, dal traffico di armi allo sfruttamento della prostituzione. La stessa magistratura italiana trova una collaborazione modesta, al di là di qualche investigatore e magistrato locale, anche per il forte spirito omertoso dimostrato dagli arrestati. I delinquenti albanesi, inoltre, sottopongono le donne da avviare alla prostituzione a violenze e sevizie inimmaginabili. Comprano e vendono donne, il prezzo varia dai trenta ai cinquanta milioni, e da ognuna di loro guadagnano circa un milione a notte. Se alcune non vogliono obbedire si passa dalla minaccia alla vera e propria vendetta trasversale. Di notevole preoccupazione i rapporti tra i mafiosi albanesi ed elementi della Sacra Corona Unita, con particolare riferimento all’immigrazione clandestina ed ai traffici di armi e droga.
La mafia albanese in Italia
Le regole, i luoghi privilegiati e l'operato criminale
Gli albanesi in Italia sono il secondo gruppo straniero, dopo quello dei marocchini. Le regioni in cui maggiormente si sono inseriti sono la Toscana, la Lombardia, il Lazio, il Veneto e poli di attrazione risultano anche le città di Pistoia e Rimini. La criminalità albanese è organizzata in bande fondate su legami familiari, con talune somiglianze con la mafia calabrese ottocentesca. Per i delinquenti albanesi valgono solo la parola data, la famiglia, la vendetta e la legge di Kanun, un’antica legge ordalica, una specie di legge del taglione, occhio per occhio… E proprio di occhio per occhio si tratta, tant’è che quando donne obbligate a prostituirsi vengono ritenute colpevoli di “sbagli”, dopo averle trucidate, a volte le cavano gli occhi con un coltello. Sorte orribile quella di tante donne albanesi costrette alla prostituzione, su cui viene utilizzata sistematicamente, per fiaccarne la resistenza, lo stupro di gruppo. Questo tipo di attività è appannaggio soprattutto di musulmani che attuano pure la violenza contro bambini, vestiti di stracci, mal nutriti, minacciati e percossi, fatti vivere in tuguri e costretti ad elemosinare o ad essere utilizzati come carne da macello per i pedofili.
La compravendita di armi è, infine, un’altra lucrosissima attività della mafia albanese, che ha saccheggiato gli arsenali più moderni e si è inserita in territori italiani dove vi era una sorta di parziale vuoto criminale e dove anche le forze dell’ordine italiane, in taluni casi, avevano, per così dire, la guardia bassa.
La prostituzione e la mafia albanese - parte prima
La terribile vicenda di donne albanesi avviate alla prostituzione dalla mafia albanese. In questa prima parte viene valutata la situazione prostituzionale all'interno dell'Albania
L’ufficiale albanese Gerd Buta ha esaminato le peculiarità e le attività della mafia albanese. In questo quadro ha valutato la situazione che esiste in Albania ai fini del mondo prostituzionale. Buta sostiene che vi è un nucleo molto consistente di ragazze che si prostituiscono negli hotel e che sono almeno di due tipi. Quelle che operano in hotel molto lussuosi, che sono donne molto belle, sono studentesse o laureate, conoscono le lingue e “lavorano” soprattutto con stranieri. Guadagnano da 100 a 300 usd ad incontro; lavorano da sole pagando una percentuale al proprietario dell’albergo. Poi vi sono le ragazze che si muovono negli hotel di seconda categoria agendo con clienti albanesi o cosovari, e che provengono soprattutto dalla campagna. Vi sono poi le ragazze che approcciano i clienti nelle caffetterie, sostando lì per ore ed ore, sono ben vestite, non sembrano neanche delle prostitute e pagano una quota al proprietario della caffetteria. Vi è naturalmente la prostituzione per strada, con dei punti tradizionali, come nella zona di Tirana, nelle strade principali o in periferia o nei pressi dei grandi alberghi. Vi sono inoltre delle ragazze che scelgono volontariamente di riunirsi in gruppo in appartamenti per prostituirsi, per poter vivere meglio e guadagnare ben di più di un normale lavoratore. Sempre più consistente la prostituzione nella cosiddetta città degli studenti. La prostituzione in Albania, quindi, si può classificare così: la prostituzione negli hotel; nelle case pubbliche; in strada; nelle caffetterie e ristoranti; negli appartamenti; nella città degli studenti; nelle istituzioni statali e aziendali. Di norma la prostituzione in Albania non è forzata, con la mafia albanese che ne controlla solo una parte. Per quanto concerne invece la prostituzione delle donne albanesi fuori dall’Albania l’influenza della mafia è totale e ancor più drammatica.
La prostituzione e la mafia albanese - seconda parte
Quella che da qui si snoda è la seconda parte della mafia albanese e della prostituzione, curata da Gerd Buta, al di fuori dei confini albanesi
Fuori dall’Albania la prostituzione è concentrata in Italia e in Grecia, ma è presente anche in Austria, Olanda, Bulgaria, ecc. La prostituzione attuata in modo spontaneo ha avuto vita corta, perchè molto rapidamente il fenomeno è stato organizzato, a partire dal 1992. Attualmente le prostitute albanesi in Italia dovrebbero ruotare intorno alla cifra di dodicimila, con una prevalenza di prostitute albanesi persino rispetto alla Grecia, che all’inizio degli anni novanta, data la maggiore facilità d’arrivo, sovrastava tutti gli altri paesi. Solo nel 1995 dalla città di Berat sono partite oltre 1300 ragazze per l’Italia e la Grecia. La maggioranza delle ragazze proviene dall’Albania centrale e meridionale, ed in particolare da Valona, Kuciova, Fieri, Korcia, Pogradezi. Negli ultimi tempi anche il nord del paese comincia ad essere colpito dal fenomeno. Le ragazze vengono classificate da Buta in almeno cinque tipologie: le ragazze che vanno via di loro volontà; le ragazze che vengono prese con la forza; le ragazze che vengono imbrogliate; le ragazze che partono per continuare a fare le prostitute; le ragazze che vengono vendute dai loro genitori. Una ragazza passa attraverso varie fasi prima di cominciare a fare la meretrice: viene sistemata in una città lontana dalla sua piccola patria, prima della partenza; compie l’attraversata col gommone; viene sistemata in un’abitazione in un paese straniero, dove molto spesso viene tremendamente violentata e maltrattata, con lo scopo di farle perdere ogni dignità di essere umano, prima di uscire in strada per fare la prostituta; l’esercizio vero e proprio della prostituzione. Solo nel 1999 la delinquenza organizzata ha ucciso oltre quaranta ragazze che s’erano ribellate. Per superare il problema i delinquenti rapiscono i bambini di chi si rivolta, in maniera che così facendo, le madri siano indotte a continuare a prostituirsi. Negli anni novanta sono scomparsi oltre 1200 bambini albanesi. Una prostitua albanese può guadagnare in una notte sino a 500 euro, potendo tenere per sè solo il dieci per cento circa. Se in ogni parte del mondo vi sono reati poco denunciati, in Albania pressoché non esiste il coraggio di denunciare i reati in questione ed altri tipi di reati ad opera della mafia albanese, che incute grande timore, a fronte di uno stato ancora estremamente debole e, in certi settori, compromesso. La collaborazione fra le autorità italiane e quelle albanesi, in particolare gli accordi del 2001, stanno dando alcuni risultati positivi, ma il cammino da compiere è ancora lungo.
L'emigrazione clandestina dal paese delle aquile
Alcuni elementi dell'emigrazione clandestina e del contrabbando di tabacco ad opera della mafia albanese
Un giovane allievo ufficiale albanese, Stavri Pashko, ha riflettuto sulla storia e sull’evoluzione della mafia albanese, sostenendo, fra l’altro, che la mafia albanese in Italia opera nel mercato della prostituzione, del contrabbando di sigarette, della droga. La mafia albanese reinveste poi i profitti in Albania acquistando imbarcazioni, alberghi, imprese commerciali, negozi di vario genere. In particolare sin dall’inizio degli anni novanta l’Albania è divenuta la base logistica per il contrabbando di sigarette, che da qui vengono trasportate in Puglia, in ispecie nell’area brindisina, attraverso un collegamento organico con la Sacra Corona Unita. Mentre nelle prime fasi erano italiani i traghettatori, dal 1997 la mafia albanese ha assunto in proprio anche questo aspetto organizzativo. Nel 1998, il direttore della polizia di Valona, dichiarava: “Ci sono più di 180 scafi per il traffico di droga e dei clandestini. Ogni scafista si nasconde sotto l’ombra di un commissario di polizia, di un politico o di un deputato”. I porti albanesi fanno partire verso l’Italia connazionali, ma ricevono anche cinesi, filippini, curdi, pakistani, trasportati nei diversi paesi europei, soprattutto verso la Germania. Gli scafisti albanesi sono concentrati nell’area di Valona, da dove si parte per San Cataldo di Lecce, per Otranto e infine attraverso la rete ferroviaria verso l’Italia del nord e altri paesi europei.
Il reinvestimento dei capitali illeciti
L'opinione dei servizi segreti sulla mafia albanese
“La criminalità albanese continua a svolgere un ruolo primario grazie all’uso consolidato di schemi operativi estremamente flessibili che assicurano la gestione coordinata dei vari ambiti d’intervento, in collegamento con consorterie nazionali ed estere, queste ultime sovente riconducibili ai luoghi d’origine delle merci trattate ovvero ai territori di transito verso l’Occidente. Alla posizione pressoché monopolistica raggiunta nell’immigrazione clandestina e nello sfruttamento della prostituzione, si accompagna il crescente attivismo nel commercio di armi ed, in special modo, di droga, settore, questo, in cui quei clan sono diventati i principali referenti dei flussi che interessano il nostro paese ed in cui viene registrata una diversificazione delle modalità di trasporto degli stupefacenti e delle fonti di approvvigionamento: alla cocaina acquistata dai sodalizi colombiani ed alla marijuana proveniente dall’Albania si è affiancata l’importazione di eroina di origine afghana. Il radicamento delle bande schipetare entro i confini nazionali, attestato dall’ampliamento delle attività incentrate sul territorio, rischia inoltre di generare fenomeni di reinvestimento dei capitali illeciti nel circuito economico e produttivo, potenziando ulteriormente la loro crescita strutturale ed organizzativa.”
 DA NARCOMAFIE

ORGANIZATSYA:

E’ la criminalità organizzata di stampo mafioso della Russia. Nel 1996 giungeva al punto di compiere una strage in un cimitero di Mosca, provocando tredici morti e trenta feriti, per decimare le fila della “Fondazione degli invalidi della guerra dell’Afghanistan”, una delle poche strutture che hanno diritto di non pagare le tasse, in quel paese, con lo scopo di sostituire via via dirigenti degli “invalidi” con propri uomini

Durante l’Unione Sovietica:                                                                                                                     

L'Organizatsya consisteva in piccoli gruppi con un basso grado di organizzazione, che avevano come obiettivo primario quello di soddisfare la domanda di beni resi irreperibili dall’economia pianificata comunista del blocco sovietico ed ottenuti con la complicità di pubblici funzionari corrotti. Stalin cercò di combattere la criminalità organizzata mandando migliaia di malviventi nei campi di lavoro siberiani. Questi, però, spesso riuscivano a tenere in pugno i loro secondini minacciandone le famiglie. In questo modo i loro capi potevano dirigere le loro attività criminali dalla prigione. Come ogni altra organizzazione criminale in giro per il mondo, ambito di azione principale della mafia erano e sono i lucrosi racket del traffico di alcool, droga, prostituzione e, più in generale, del mercato nero.

Dopo L’Unione Sovietica:                                                                                                                                        

Con il passaggio all'economia di mercato la mafia russa fa il salto di qualità e può occuparsi di tutte le attività remunerative (legali o meno) anche alla luce del sole, poiché il controllo statale pressoché scompare. I gangster ebbero l’occasione di arricchirsi grazie al collasso del sistema pubblico e al ritmo forsennato delle grandi privatizzazioni. Presero il controllo di un assetto criminale strategico: il traffico di armi, compresi uranio e plutonio. 
La ricapitalizzazione dell’organizzazione prelude alla nuova fase espansiva verso gli Stati Uniti e l’Inghilterra (in particolare Londra). Alcuni approdi sono l’isola di Cipro e lo stato di Israele. Cipro è una piattaforma logistica centrale nel Mediterraneo e pullula di attività commerciali sul libro paga dei boss. Da Cipro si parte per Tel Aviv.Durante questo periodo la mafia russa organizza delle filiali negli USA, Israele, Inghilterra, Svizzera, Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Germania, Irlanda del Nord, Finlandia, Francia e Italia. Quando, negli anni ottanta, i funzionari pubblici potevano giustificare la loro esistenza solo imponendo una burocrazia complessa che bloccava il normale funzionamento civile, economico ed industriale del paese e l'unico modo per facilitare l'approvazione di una pratica era corrompere i funzionari mentre per procurarsi un pezzo di ricambio o un medicinale bisognava rivolgersi al mercato nero, le organizzazioni mafiose cominciarono a dedicarsi anche a questo tipo di affari. Così, a partire del 1991, la mafia non ha fatto altro che uscire allo scoperto espandendo le proprie attività da quelle dei racket tradizionali ad ogni aspetto della vita civile (edilizia, industria, banche,...).
L’ascesa della mafia russa:                                                                                                                                      
I motivi del fulmineo successo in quegli anni della criminalità organizzata sono riconducibili al massiccio ricorso a metodi violenti, se altre soluzioni non portavano ai risultati desiderati; l'inadeguatezza della polizia che, sottopagata, con organici sottodimensionati mancanza di esperienza e ben inflitrata dalle stesse bande criminali, non riusciva a fronteggiare il fenomeno; la corruzione incoraggiata dall'inflazione galoppante dei primi anni del post-comunismo.                                                                               
Così molti impiegati a reddito fisso avevano stipendi che non assicuravano loro neppure la sopravvivenza. 
Così la mafia cominciò ad infiltrarsi sempre più in ogni aspetto della vita economica e sociale del paese in un periodo cruciale per il suo futuro economico: la privatizzazione di industrie e servizi oltre che l'alienazione di beni mobiliari ed immobiliari, prima tutti di proprietà statale.                                                                              
Questo spiega un'altra peculiarità dimostrata dalla mafiya che ha impressionato gli osservatori stranieri: la facilità e velocità con cui ha aggiunto alla gestione dei racket tradizionali quella di attività legali. 
Si valuta che la criminalità organizzata russa già nel 1996 controllava larghe fette dell'economia nazionale. 
A quel punto, però, avevano anche allargato i loro interessi a livello internazionale con il traffici illegali di armi, droga o legali di petrolio, oro, diamanti ed altri beni preziosi attraverso società controllate.

Contromisure prese dallo Stato:                                                                                                                          
Per poter contrastare adeguatamente questo elevatissimo livello di criminalità, lo stesso Ministero degli interni si è dotato nel tempo di un vero esercito di 130.000 uomini pesantemente armati, un numero pressoché equivalente a quello delle forze armate, per supportare adeguatamente le attività di polizia. In particolare è stato  Putin che ha indirizzato decisamente la lotta contro la criminalità organizzata e la corruzione. Sono nate decine di agenzie di security che ingaggiano ex militari delle forze speciali per tutelare i propri clienti. Tra gli agenti si nascondono anche gli scagnozzi della mafia.
Struttura:
La scarsa conoscenza dovuta alla chiusura del mondo sovietico prima della sua caduta ha indotto alcuni a ritenerlo un fenomeno del tutto nuovo, nato dal caos indotto dalla dissoluzione delle vecchie istituzioni. In realtà in Russia è sempre esistita una rete di organizzazioni illegali che, diversamente dalla Mafia siciliana, non hanno mai avuto una struttura verticistica che ne coordinasse le attività. Non sono dirette, cioè, da una cupola mafiosa ma sono divise in bande più o meno potenti su base locale (anche molto estese, abbracciando facilmente intere province o Repubbliche) e i cui riti di iniziazione possono prevedere anche tatuaggi per distinguere gli affiliati. I padrini di Mosca si chiamano vory v zakone (“ladri per legge”).  Per i boss il tatuaggio è un simbolo identitario fortissimo, da quel momento la sua missione diventa combattere lo stato in ogni sua forma.                                                                                                                               
Si può senza troppi problemi dividere l'organizzazione in 3 livelli:
  
  •   Grandi brigate di 200/300 persone (in numero di circa 500), che controllano i gruppi più piccoli e sparse su tutto il territorio.
  •   I così detti "ladri nella legge” in numero di circa 150, sono le cosche con più potere, sia economico che politico, spesso sono avvocati, medici, ingegneri e politici. Sono in grado di svolgere le più colossali operazioni finanziarie, avendo loro il capitale disponibile.
  •    Piccoli gruppi composti da 10/15 persone, indipendenti all'organizzazione ma ad essa affiliatiMolti dei mafiosi russi conducono una doppia vita: una pubblica di uomini di affari di successo con interessi nei campi più disparati ed una nascosta di capi di organizzazioni criminali ben più redditizie delle prime.

Molti sono industriali, ma molto più spesso immobiliaristi e costruttori. Infatti, uno degli ambiti di investimento legittimi più convenienti e redditizi individuati e sfruttati dalla mafiya negli ultimi anni di vita del regime sovietico è stato quello immobiliare: con la complicità di burocrati compiacenti (o indotti a collaborare con la violenza), in quegli anni la mafiya si è accaparrata a prezzi irrisori oltre ad industrie, concessioni minerarie, ecc. vasti terreni edificabili intorno a tutte le maggiori città del vasto paese. Su queste hanno poi costruito con partner occidentali, preoccupandosi di fornire maestranze che non scioperavano, di proteggere i cantieri, di assicurare la fornitura di materiali, ecc.                                                                                                              
Costruiti gli edifici, cominciarono poi a partecipare alla loro gestione e quindi ai profitti derivanti dalla loro vendita o affitto, assicurandosi anche una facciata di rispettabilità oltre che un modo per riciclare il denaro sporco.                                                                                                                                                                
Altre attività includono il traffico di droga, attività principale all'esterno del CSI, dal traffico di armi (trafugate dagli arsenali dell'ex Unione Sovietica) a quello di organi.                                                                               
La violenza per forzare il sistema usata nei primi anni è andata via via scemando in quanto col tempo le solo minacce, insieme al ricordo delle punizioni inflitte nel passato, erano sufficienti per avere dalla propria parte funzionari pubblici o imprenditori privati. Ma la violenza del passato insieme alle minacce del presente ha indotto una grande richiesta di sicurezza da parte delle aziende nazionali o straniere per proteggere beni e persone. Per soddisfare questa richiesta sono nate numerose società specializzate in sicurezza un po' in tutta la Russia ed in special modo a San Pietroburgo e soprattutto Mosca. Esse impiegavano spesso ex-militari provenienti dai tanti corpi speciali dell'ex-URSS, senza lavoro dopo la caduta del regime e la riduzione delle spese militari con conseguente ridimensionamento degli organici. La stessa criminalità organizzata ha utilizzato come copertura per i propri uomini le società di sicurezza così da giustificare, di fronte alla legge, la loro necessità del porto d'armi. In teoria la milizia, la polizia russa, avrebbe dovuto verificare l'adeguatezza dei soggetti (fedina penale, capacità, equilibrio psicologico), ma attraverso la corruzione questo ostacolo era facilmente superato.
La mafia russa negli Stati Uniti:                                                                                                        
Negli Stati Uniti dalla loro zona principale Brighton Beach a Brooklyn gestiscono dalla metà degli anni '90 il traffico di droga, della prostituzione e delle armi, nel tentativo di espandersi si sono scontrati anche con Cosa Nostra americana e le triadi tradizionali controllori di questi traffici.
In Italia:

La mafia russa sbarca sulla costa romagnola negli anni Novanta. Rimini è la meta preferita del “turismo criminale” postsovietico. I boss girano in riviera per investire il denaro sporco, comprano attività commerciali, gestiscono il mercato nero. L’ecstasy che sballa i discotecari fino all’alba viene dai loro laboratori clandestini. La coca arriva direttamente dalla Colombia: i russi hanno stretto accordi con i cartelli colombiani per gestire la triangolazione degli stupefacenti dal Sudamerica in Europa. L’organizzazione si allarga presto nelle regioni del Centro e del Nord-Est, tra Emilia, Marche, Toscana, Veneto.

Sempre all’inizio degli anni Novanta il gotha mafioso moscovita viene scalzato da figure emergenti che si impongono in patria e all’estero. Yuri Ivanovich Essine, detto “Samosval”, è uno dei nuovi, potentissimi capibastone che scelgono l’Italia come quartier generale. Appartiene alla “Brigata del sole” una delle famiglie vincenti della mafia russa (conta almeno un migliaio di affiliati e fiancheggiatori). Yuri è laureato in legge, esperto di alta finanza, sembra un tipo dai modi gentili. Lo arrestano nel 1997 a Madonna di Campiglio, una delle mete turistiche preferite del jet set mafioso russo. Pasteggiava a caviale e saldava i suoi conti d’albergo in contanti (anche 30 milioni di lire alla volta). Nel frattempo gestiva campi paramilitari in Belgio.
L’operazione “Scacco matto”  ha scoperto che Yuri reinvestiva i soldi sporchi in alberghi, tecnologie elettroniche, moda e alimentazione. Con lui vengono arrestate un centinaio di persone. Come avviene per altri gruppi criminali stranieri che operano nel nostro paese, Yuri aveva trovato degli agganci nel mondo politico e imprenditoriale
Nel 1995 la polizia arresta Monya Elson, un altro pezzo da novanta della Brigata del Sole. Lo fermano a Modena nel corso della operazione “Rasputin”. Classe 1951, Elson aveva messo in piedi una piccola fortuna a Brighton, una zona di Brooklyn che ospita la comunità ebraico-russa di New York. Monya è nato nel ghetto di Kishinev, in Moldova, emigrato negli Usa alla fine degli anni Settanta. Sembrava un onesto gioielliere ma lo arrestano per truffa, estorsione e riciclaggio. Qui da noi aveva l’esclusiva nel commercio delle calze e dei mobili d’arredamento, imposti agli imprenditori russi che lavorano in Italia. Sarà estradato negli Usa.
Nel 1997 viene smantellato un gruppo di fuoco che aveva scelto Roma come base di lancio. In un’abitazione della capitale la Polizia trova fucili d’assalto, sistemi di puntamento laser, munizioni da guerra. E’ la casamatta del boss Solonnik Alexander crivellato qualche tempo prima ad Atene. Solonnik era a capo della “Brigata Kurganskaya” – omicidi su commissione e traffico di armi.
Nel 2000, a Prato, la polizia scopre un traffico di sordomuti costretti all’accattonaggio dall’organizzazione. La chiamano “tratta degli storpi” e fa il paio con quella delle baby-sitter, delle badanti e delle prostitute. Sono tanti i canali con cui vengono persuasi e ricattati gli immigrati clandestini. I boss hanno in mano agenzie interinali e turistiche per reclutare lavoratori di ogni genere (soprattutto edili) e fornirgli documenti falsi. 
L’operazione “Girasole”, condotta dal Ros dei Carabinieri nel 2002, porta a 75 arresti nell’ambito della tratta di corpi umani. 
Da ultimo c’è stato il salto di qualità cibernetico: i boss della net-generation assumono cervelloni informatici per fare spamming, “pishing” e frodi finanziarie. L’anno scorso sono state attaccate diverse piattaforme di e-commerce, costrette a pagare il pizzo per sfuggire agli hacker. Chiamatela estorsione on-line.
La mafia russa è estremamente feroce e tende ad espandersi in diversi paesi del mondo, fra cui l’Italia facendo anche perno sull’isola di Cipro, sin dagli anni novanta, adoperata come base logistica da parte dei delinquenti russi. In questa fase la mafia russa si occupa di compravendite commerciali, di prostituzione, di riciclaggio di danaro sporco e di traffico clandestino di persone, il quale frutta ai mafiosi sino ad un milione e mezzo a testa. Numerosi gli arrivi a Falconara, Rimini e Pescara di russi, apparentemente uomini d’affari, che hanno comprato beni di consumo per circa mille miliardi, rivendendoli poi nella loro patria a prezzi centuplicati. I visti d’ingresso e i permessi di soggiorno in Italia sono diverse centinaia di migliaia e gli investigatori in Lombardia, nelle Marche, nel Lazio hanno individuato la presenza di consistenti gruppi affiliati alla “Brigata Solntevskaja”, cioè della Brigata del Sole, molto attiva a Mosca. Si tenga altresì presente che la mafia russa è formidabilmente pericolosa, nell’attualità e in prospettiva, anche perché non ha regole e non rispetta le regole tipiche del mondo delinquenziale.

LA TRIADE CINESE

La Triade è un'organizzazione criminale di stampo mafioso di origine cinese fondata nel XVII secolo. La base dell'organizzazione è ad Hong Kong ma opera anche in Taiwan, Macao, Cina e nelle chinatown europee, in Nord America, Sud Africa, Australia, Nuova Zelanda. Ci sono attualmente 57 gruppi della Triade attivi ad Hong Kong, alcuni di questi non sono altro che piccole bande di strada. I gruppi più grandi comprendono invece Sun Yee On, Wo Shing Wo e 14K.Le attività delle Triadi includono traffico di droga, riciclaggio di denaro, gioco d'azzardo, prostituzione, furto d'auto ed altre forme di racket. I maggiori introiti provengono dalla contraffazione di programmi per computer, CD musicali e film in VCD e DVD. Operano anche il contrabbando di prodotti del tabaccoLo scopo dell’organizzazione era quello di rovesciare la dinastia mancese Qing, che conquistano il potere nel 1644.

Le origini:                                                                                                                                                                         

La storiografia più recente individua le origini delle triadi nella lotta che contrappone, nella seconda metà del secolo XVII, i sostenitori della dinastia Ming contro gli invasori Manciù, che conquistano il potere nel 1644. I partigiani della dinastia sconfitta si raccolgono in gran numero in una società segreta, fondata da monaci guerrieri, denominata Hong Mon — Hong era il nome di uno dei pretendenti al trono sostenuti dai partigiani dei Ming —, il cui motto è motto Fan Qing fu Ming!, "Abbattere i Qing e restaurare i Ming!". Il luogo d’incontro dei primi associati è il monastero buddista di Fukien, dove s’insegnava una tecnica di combattimento a mani nude, il Kung-fu. Alla distruzione del monastero, compiuta nel 1674 dall’esercito mancese, sopravvivono solo cinque guerrieri, conosciuti nell’epica cinese come "le tigri di Shaolin", che si trasferiscono nella provincia meridionale dello Guangdong, fondando altrettante società, poi unificatesi in quella denominata Città della Pace Celeste, e codificando quel complesso rituale — mutuato dal taoismo e dal buddhismo e successivamente sempre più sincretistico — che ancor oggi viene osservato nelle triadi. La persecuzione da parte degl’imperatori mancesi, che nel 1717 mettono al bando anche il cristianesimo, non impedisce ai seguaci delle "tigri" di costituire numerose società segrete sull’impronta della Hong Mon; dall’unione di quest’ultima con la Società del Loto Bianco nasce la Triade, così chiamata per il triangolo, posto nell’ideogramma Hong, simboleggiante la relazione armoniosa fra la terra, il cielo e l’uomo.

Simbolismo e rituali:                                                                                                                                                         

Simbolo della setta è un triangolo equilatero, i cui lati simboleggiano tre concetti base per i cinesi : Cielo, Terra, Uomo. Il triangolo è rappresentativo della creazione, nel cui interno è raffigurato l’ideogramma Hung, nome stesso della Triade. Si tratta a prima vista di un cognome cinese, tra l’altro abbastanza comune, in realtà esso esprime i contenuti essenziali della Triade; il suo significato letterale, Marea o Fiumana, indica l’infinito numero degli appartenenti alla Società.
Il numero 3 riveste un’importanza capitale. I nomi dei capi sono i espressi con numeri multipli di tre. Tutti i numeri che designano i gradi di appartenenza alla Triade iniziano sempre per quattro; questo particolare numero simboleggia i quattro mari che, secondo la mitologia cinese, circondavano il mondo, e più esattamente: Mare Occidentale, Mare Settentrionale, Mare Orientale e Mare Indico.  Partendo da questo principio, il numero indicativo del grado ricoperto deve essere divisibile per tre, riferimento alla Triade stessa che rappresenta il Cielo, la Terra e l’Uomo Il simbolismo tipico delle Triadi risulta anche evidente nei suoi vari rituali, soprattutto in quello di iniziazione, in tal senso elencheremo la tinozza che contiene i chicchi di riso, il cui numero, incalcolabile, simboleggia gli aderenti alla Triade. I Manchu distrussero il monastero con l’aiuto di un traditore che era al numero 7 della scala gerarchica dello stesso monastero, per questo il 7 non viene mai usato nei rituali
Altri strumenti rituali della Triade sono il Bastone Rosso, simbolo di punizione, e la Spada, simbolo di lealtà e coraggio. Un ulteriore elemento rituale, non più in uso, che veniva utilizzato durante le iniziazioni, è l’abito macchiato di sangue, simbolo del sacrificio dei monaci Shaolin; questo elemento venne meno quando decadde l’antico scopo per il quale era nata la società. Un simbolo tipico era la presenza di stoffa rossa nell’abito dell’appartenente alla Triade e l’infilarsi i vestiti e sorseggiare il tè con tre dita.                                     
Il rituale della Triade è molto simile a quello della mafia siciliana. Verso la conclusione della lunga cerimonia, quando si raggiunge la vera e propria iniziazione, un pezzo di carta gialla con i nomi degli iniziandi e le parole dei 36 giuramenti viene dato alle fiamme. Le ceneri sono mescolate con vino, cinabro e zucchero. Quindi viene ucciso un galletto e il suo sangue aggiunto alla tazza. Infine, il maestro incensiere "punge il dito medio della mano sinistra della recluta finche appare il sangue. Bevendo questa strana mistura (il suo sangue viene mischiato con quello delle altre reclute), il novizio deve giurare di non tradire la società e di essere leale con tutti gli altri membri.  Al termine l’iniziando è come se entrasse in una nuova vita e di far parte di un gruppo di eletti, con un proprio codice d’onore sfruttabile anche per compiere atti ilegali. Negli ultimi tempi questo rituale ha subito qualche modifica: in una delle più potenti organizzazioni della mafia di Hong Kong - la Sun Yee On - per paura dell'Aids, gli iniziandi non berranno più il sangue dei compagni miscelato in una coppa comune, ma si limiteranno a succhiare il proprio sangue da un taglio praticato su un dito. L’adesione era aperta a tutti senza, differenza di classe.

La struttura organizzativa:                                                                                                                    

L’organizzazione delle triadi è di tipo piramidale e ogni gradino della scala gerarchica viene identificato con un numero, il cui significato simbolico è da rintracciarsi principalmente nella numerologia taoista: al vertice è la Testa del Drago o Signore della Montagna, San Chu, con il numero 489, seguito dal Vicario del Capo, Fu San Chu, dal Maestro d’incenso, Heung Chu, addetto al cerimoniale, dal Garante delle Alleanze, Mengzheng, e dal Guardiano del Vento, Sinfung, incaricato della sorveglianza interna, tutti contrassegnati dal numero 438; vengono quindi il Ventaglio di Carta Bianca, Pak Tsz Sin, investito dell’amministrazione delle finanze, 415, il Sandalo di Paglia, Cho Hai, deputato alla trasmissione delle informazioni, 432, il Guerriero del Polo Rosso, Hung Kwan, responsabile del settore militare e dell’amministrazione della giustizia interna, 426; i membri ordinari, tutti identificati dal numero 49. L’affiliazione presuppone un giuramento che si articola in trentasei promesse, riassumibili nell’impegno di preservare la segretezza della triade, di prestare soccorso agli associati in pericolo, di rispettare i valori tradizionali, pena l’inflizione di pesanti sanzioni corporali, fino alla pena capitale per le trasgressioni più gravi. 

Triadi, società e Partito Comunista Cinese:                                                                                                         

Le origini socio-politiche delle triadi spiegano la diffusione che tali società segrete hanno anche fra gli strati più umili della popolazione cinese, alimentando i tumulti che per quindici anni, dal 1851 al 1866, sconvolgono la Cina dei Manciù, fino alla repressione sanguinosa che determina il primo grande esodo verso i paesi vicini e negli Stati Uniti d’America. Qui giungono alcuni affiliati della Banda Verde di Shangai, costituendo nelle comunità cinesi di quel paese le Tongs, termine che nel dialetto cantonese significa "sala di riunione. La violenta persecuzione mancese non debella però le triadi: nel 1900 esse sostengono la rivolta contro gli stranieri, animata dai boxer, aderenti a una società segreta antimancese; nel 1911 appoggiano la detronizzazione dell’ultimo imperatore, il piccolo Pu Yi (1906-1967); quindi combattono a fianco del nazionalista Chiang Kai-shek (1887-1975) contro i comunisti di Mao Zedong (1893-1976). La violenta repressione comunista determina la seconda grande diaspora: numerosi affiliati emigrano, costituendo triadi a Macao, a Singapore, in Birmania, in Thailandia, nelle Filippine, in Indonesia, ma soprattutto a Taiwan e a Hong Kong, dove vengono costituite la Bambù Uniti e la 14K, che si svilupperanno anche nei continenti americano ed europeo. A Hong Kong oggi opererebbero circa 30 triadi con un esercito composto da 70 000 a 120 000 affiliati. In Cina le Società Nere, come venivano chiamate le triadi nei rapporti della polizia comunista, si dedicano in prevalenza alla gestione dell’economia non pianificata, al traffico degli e al commercio delle adolescenti "illegali", cioè partorite in violazione dei precetti di contenimento demografico imposti dal Partito Comunista Cinese. Il progressivo arricchimento di tali organizzazioni è effetto soprattutto del traffico di eroina, nella versione della China White, che, per l’elevato grado di purezza e per le modalità di assunzione — per inalazione e per fumo — finirà per assorbire la quasi totalità del mercato statunitense. Ciò fornisce lo strumento ai nuovi ricchi per avviare una vasta opera di corruzione dei funzionari dell’apparato statale e dello stesso partito comunista. Pertanto, quest’ultimo, per evitare l’implosione che aveva posto fine al sistema imperiale sovietico, viene indotto a scegliere la coabitazione con le triadi, nelle quali, ormai dominate da un’assorbente vocazione criminale, perde progressivamente contenuto il richiamo ai princìpi tradizionali. L’8 aprile 1993, il ministro della Polizia cinese Tao Siju, annunciando che le autorità comuniste non intendevano decretare un’amnistia per gli studenti che avevano partecipato al movimento di Tienanmen, dichiara che il governo è lieto di "unirsi" alle triadi: "i membri delle Triadi — spiega il ministro — non sono tutti dei gangsters. Se essi sono dei buoni patrioti, se assicureranno la prosperità di Hong Kong, noi dobbiamo rispettarli". È la legalizzazione del rapporto di coabitazione governo-triadi, fondato sul riconoscimento dell’assoluto controllo delle Società Nere su Hong Kong e sulla sua economia. L’ufficializzazione delle triadi, è l’esito inevitabile della loro"penetrazione in tutte le sfere della vita economica e politica", 


L’internazionalizzazione delle triadi:                                                                                                                                

Le comunità cinesi in America, in Australia e in Europa finiscono per essere tutte controllate dalle triadi, che disciplinano l’emigrazione clandestina dalla Cina verso gli altri continenti, fornendo documenti contraffatti, spesso di marinai legalmente espatriati, o utilizzando quelli di connazionali già emigrati, il cui decesso all’estero viene occultato. La tecnica di conquista del territorio, sperimentata in Inghilterra, in Olanda, in Canada, negli Stati Uniti d’America e recentemente anche in Francia, in Germania e in Italia, passa attraverso l’acquisizione di tutte le attività economiche del quartiere e la progressiva espulsione — indotta o coatta — dei residenti, fino alla costituzione di una vera e propria enclave, la così detta Chinatown, difficilmente penetrabile sia dalle forze dell’ordine sia dagli altri gruppi criminali. In questo modo, le Tongs hanno soppiantato Cosa Nostra sia nella gestione delle consuete attività criminose — la droga, la prostituzione e il gioco d’azzardo —, sia, e soprattutto, offrendo servizi assolutamente nuovi, quali il traffico di adolescenti e il commercio di organi per trapianti. 
Pur essendo munite di un’organizzazione interna rigidamente gerarchica, non sono tuttavia emersi all’attenzione degl’investigatori stabili collegamenti federativi fra le varie triadi, né può dirsi fondatamente che esista un organismo di vertice, come la "cupola" siciliana di Cosa Nostra. Allo stato, vi sono differenze soltanto nella consistenza numerica degli affiliati e nell’ampiezza del raggio di azione criminale, che vedono prevalere fra le triadi il Grande Cerchio, la 14K e la Sun Ye On.. Non è tuttavia escluso che, soprattutto per il ruolo sempre più egemone assunto da tali organizzazioni nella madrepatria, possa costituirsi un coordinamento centrale delle attività criminali e degl’investimenti legali delle triadi sparse nel mondo. Potendo contare su un flusso migratorio quantitativamente in crescita e geograficamente in espansione, e avendo da lungo tempo dimestichezza con il sistema sotterraneo di trasferimento di capitali creato per sfuggire ai controlli governativi, le triadi si sono trovate ad anticipare — in termini criminali — la globalizzazione economico-finanziaria, assumendo perciò un ruolo di leader nel panorama delle nuove mafie. La difficoltà di ottenere informazioni aggiornate sulle loro attività e sulla loro consistenza numerica, riconducibile al ferreo vincolo di segretezza che lega gli affiliati e alla scarsa visibilità degl’investimenti, non impedisce alle triadi di porsi al vertice delle organizzazioni mafiose per aderenti — stimati in diecimila solo in Europa.

Narcocrazia

In Messico il 2010 passerà alla storia come l’anno in cui si sono raggiunti i livelli di violenza e terrore più alti dall’epoca della Rivoluzione Messicana del 1910. Solo nei primi dieci mesi del 2010 si sono registrato circa 10mila morti, in altre parole circa 33,5 morti al giorno, oltre uno all’ora. 
Queste morti non sono dovute esclusivamente alla cosiddetta “guerra del narcotraffico”, ma anche agli alti livelli di corruzione e impunità radicati da molto tempo nel paese. Non c’è settore della popolazione che non sia coinvolto con il potere corruttore del narcotraffico e la delinquenza che ne deriva: dai politici alla polizia federale, dagli ambienti imprenditoriali, i giornalisti e i mezzi di comunicazione fino ad arrivare perfino ad alcuni ambienti religiosi. 
Il Messico sorprende quotidianamente con notizie macabre e cruenti assassini, come Santiago Lopez, detto “el Pozolero” (letteralmente “colui che prepara la zuppa”) che scioglieva i cadaveri nell’acido. Morte per vendetta, morte come pagamento, morte per aver detto di no, morte per aver divulgato una notizia, morte per controllare una città, uno stato, morte e tortura per ottenere ricchezza..
Contrariamente a come si può pensare, il Messico non produce affatto cocaina, la materia prima deriva interamente dalla Colombia. Ma il Messico rappresenta una tappa fondamentale affinchè la droga arrivi negli Stati Uniti e, oltre ad una lunga tradizione di traffici illegali, possiede sbocchi sui mari ; dunque la Colombia ha dovuto accettare la partnership messicana. Il primo accordo risale al 1984, nel quale si distinsero i ruoli: i colombiani possedevano la merce e ne ricavavano i guadagni dalla vendita, mentre i messicani svolgevano il servizio per loro conto trasportando la cocaina negli Stati Uniti e non rivendicando in nessun modo la proprietà sulla droga. 
Ma presto le cose cambiarono: i messicani ottennero la “parità”, ovvero il diritto sul 50% della cocaina trasportata e passarono da “prestatori di un servizio” a vere e proprie organizzazioni “trafficanti di cocaina”.
Attualmente queste organizzazioni, dette “cartelli”, sono numerose e in continua battaglia tra loro per l’acquisizione della gestione esclusiva delle rotte strategiche verso gli Stati Uniti. La molteplicità di cartelli rende difficilissima l’azione di lotta contro la criminalità organizzata: sebbene  il governo stia portando a termine particolari riforme del sistema penale, la popolazione mantiene una radicale sfiducia nei confronti delle istituzioni, dovuta anche al fatto che da anni non compaiano miglioramenti effettivi della situazione.
Libera ha promosso la rete antimafia ALAS (America Latina Alternativa Social) che opera in Messico, Colombia, Honduras, Argentina e Brasile. In Guatemala oggi vi è una legge che prevede la confisca, in Colombia la legge è presente da ormai 15 anni, ma non viene applicata correttamente.


Conclusione (presa dal giornale “Lavialibera”)
“Per combattere le mafie internazionali è necessaria un’antimafia globalizzata.
Abbiamo la mafia più antica del mondo ma nello stesso tempo abbiamo anche l’antimafia più antica del mondo, che ha ottenuto risultati importanti sia sul piano della proposta legislativa che su quello educativo e di informazione sul fenomeno mafioso.”


Laura Faustini Fustini
Lorenzo Genovesi
Giulia Beneventi
Gloria Cattabriga
- Presidio di Libera del Liceo Fermi


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